venerdì, febbraio 10, 2017

La grande fuga: 1. Siebenbürgen, nota come Transilvania. Scheda di ricerca su una pulizia etnica di tedeschi, verso la fine della seconda guerra mondiale.

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Thorwald, p. 39-40: «1° settembre 1944: inizio della ritirata, situazione tremenda tra Russi, Romeni, Inglesi e partigiani. I Russi nel Siebenbürgen. Spaventosa domanda: quale sarà il destino dei Tedeschi che da secoli vivono nei Siebenbürgen? Hitler: “Ordino di organizzare la resistenza popolare tedesca nel Siebenbürgen”. Risposta della realtà: irruzione dell’armata russa nei Siebenbürgen; stragi bestiali, uccisioni, saccheggi, deportazioni, espropriazione per tutti coloro che all’ultimo momento non fuggono con le truppe tedesche e – grigia e dispersa massa miserabile – attraverso l’Ungheria riparano in Austria».

Jürgen Thorwald: «La grande fuga. Il massacro dei tedeschi orientali» (Jaks, 2016). - Un'altra storia, un altro modo di vedere e di raccontare, se ce lo consentono...

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Pubblichiamo qui come introduzione generale al testo di Thorwald la Prefazione di Francesco Coppellotti, che collega l'ordito storico del volume di Thorwald alla interpretazione transpolitica della storia di Ernst Nolte. Poiché il volume, pur ampio per oltre 700 pagine, contiene innumerevoli spunti ed episodi bellici appena accennati, sarò questa per noi l'occasione per riprendere l’aggiornamento di questo nostro blog per troppo tempo trascurato. La serie verrà unità da una Homepage apposita e di un intreccio di collegamenti ipertestuali in modo da dare un carattere quanto più possibile unitario. La letteratura sulla seconda guerra mondiale e sul periodo fra le due guerre è sterminata, anche se questo non significa che sia noto tutto ciò che è successo. Di fronte a una così vasta massa di dati documentali, il problema non è la conoscenza dei fatti singoli o nel loro complesso e nella loro concatenazione, la loro interpretazione e la loro acquisizione e assimilazione nella formazione dei processi identitati, che non sono affatto liberi, ma ancora a oltre 70 anni dalla fine convenzionale della guerra risentono ancora della contrapposizione fra vinti e vincitori. Non ci si accontenta più di aver vinto e annientato il nemico, ma si punta direttamente alla sua discendenza, per instillarvi un senso permanente di colpa, per condizionarne la psicologia, la cultura, l’identità. In pratica, schmittianamente, la cancellazione dalla scena della storia di ogni popolo vinto. Noi qui resistiamo, ricostruendo una nostra “Memoria” e prendono il testimone dei fatti da un libro come quello di Jürgen Thorwald, che per certi aspetti può essere considerato “il” libro sulla Seconda Guerra Mondiale.
AC

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A Ernst Nolte, in memoria

RILEGGERE E RICOMINCIARE
DA JÜRGEN THORWALD 

Prefazione di
Francesco Coppellotti

Quando lo scrittore Aurelio Garobbio, il più battagliero degli irredentisti ticinesi, nell’ottobre del 1964 dà alle stampe la sua traduzione del libro di Jürgen Thorwald (1) (Die große Flucht (La grande fuga – Incominciò alla Vistola, la fine all’Elba), l’editore Sansoni scrive una premessa all’edizione italiana del libro nella quale tra l’altro si legge:
 “Jürgen Thorwald scrive, necessariamente, da Tedesco, e con la sua esposizione propone al giudizio del lettore e, implicitamente, a quello della Storia, il pensiero del suo popolo, della sua parte. Pensiero che abbiamo ritenuto fosse giunto il tempo di far conoscere anche al lettore italiano... l’opera del Thorwald era diventata in un certo senso il classico sul crollo della Germania orientale e sulla perdita da parte della Germania delle sue province orientali. Sul medesimo tema sono stati successivamente pubblicati interessanti ed aggiornati resoconti parziali, ma nessuna visione d’insieme paragonabile a questa per la precisione nei dati di fatto, per lo sforzo di obbiettività, unito alla immediata, palpitante rappresentazione dell’atmosfera di quel tempo” (2). 
L’opera era stata pubblicata nel 1949 e nel 1950 in due volumi separati (Es begann an der Weichsel – Incominciò alla Vistola e Das Ende an der Elbe – La fine all’Elba) dallo Stuttgarter Steingrüben Verlag e da allora aveva avuto ben 50 edizioni con mezzo milione di copie vendute, fino a che, nel 2005 nel sessantesimo della fine della guerra, l’editore Knaur di Monaco ripubblica La grande fuga con un nuovo sottotitolo: Niederlage, Flucht und Vertreibung - Sconfitta, fuga e cacciata. Come ha scritto lo storico David Oels, si tratta proprio di un eterno bestseller, uno dei Sachbücher tedeschi di storia contemporanea più noti e al tempo stesso più influenti. Nel 1981 Eugen Gerstenmaier, ex-presidente del Bundestag, dichiarava di aver visto il libro accanto al letto di Konrad Adenauer ammalato e che lo stesso Adenauer gli aveva confidato d’averlo letto molto attentamente e di essere venuto sapere per la prima volta da esso di molti dati ed eventi importanti (3).

Heinz Bongartz, 1950
NOTE:
(1) Jürgen Thorwald è pseudonimo di Heinz Bongartz. Heinz Bongartz (1915-2006) nella prima edizione del libro si presenta come un “giovane” autore sconosciuto per sfuggire alle accuse degli Alleati e della loro propaganda di guerra. Il figlio di un insegnante di Solingen aveva cominciato già nel 1933 la sua carriera giornalistica quando studiava a Colonia medicina e filologia, e il suo primo libro era stato in realtà Luftmacht Deutschland (1939) con la prefazione di Hermann Göring. I racconti del nuovo libro erano comparsi in un primo tempo nel più grande settimanale della Bundesrepublik Christ und Welt nel 1948 e gli americani, proprio a causa degli articoli di Heinz Bogartz, avevano accusato il giornale di “nazionalismo e militarismo” e lo consideravano un “under cover Nazi-paper”. Già nel 1952 Léon Poliakov, autore di uno dei primi studi sulla Shoah, nel mensile americano Commentary aveva accusato Thorwald di voler occultare le sofferenze degli ebrei, descrivendo quelle dei tedeschi. Più tardi Thorwald dichiarò che il suo libro avrebbe potuto avere come titolo anche Schuld und Sühne (Colpa ed espiazione) poiché descriveva le sofferenze patite dai tedeschi nel senso di un’espiazione per gli stermini da loro commessi.)

(2) Jürgen Thorwald, La grande fuga – Incominciò alla Vistola – La fine all’Elba, Trad. it. di Aurelio Garobbio, Editore Sansoni, Firenze 1964, pp. IX-X.
(3) David Oels, in: DIE ZEIT, 22.07.2010 N.30. – 6 Kommentare.- Schicksal, Schuld und Gräueltaten


Un libro di storia dunque che fa storia, che pur essendo un libro popolare, non strettamente scientifico, che unisce storia contemporanea e politica del ricordo, ha però, come vedremo, moltissimo da dire alla storiografia come scienza della storia e alla riflessione transpolitica sulla storia stessa. Di più, questo libro è estremamente utile e significativo perché ci aiuta ad elaborare una tesi fondamentale e sinora mai realmente svolta, quella dell’interdipendenza tra tutti i fenomeni politici nuovi che si sono verificati nonché degli anni tra il 1917 e il 1945, altresì dal 1945 ad oggi. In effetti questa interdipendenza è stata normalmente dimenticata perché si è sempre finito per pensare che il comunismo fosse storia russa, il fascismo storia italiana, il nazismo, o meglio il nazionalsocialismo, storia tedesca. Così si è continuato e si continua a ripetere come una tesi ovvia che la rivoluzione comunista già sconfitta nel 1919-1920 in Germania come in Italia, ridotta ormai a semplice spettro, sia stata soltanto l’occasione perché si manifestassero i mali endemici che erano presenti allo stato virtuale nella storia delle nazioni dell’Europa continentale. In modo particolare nella Germania che non aveva conosciuto, Lukács docet, la rivoluzione borghese nella sua radicalità e che per di più aveva combattuto romanticamente la modernità (la Distruzione della ragione da Schelling a Hitler), ma anche nell’Italia, nella quale l’avvento del fascismo avrebbe manifestato tutti quei vizi che erano stati contratti e si erano sviluppati nel periodo della Controriforma e delle dominazioni straniere, trasfigurati poi dalla retorica dei miti della romanità. Sia in Germania che in Italia si sarebbe sviluppato un complesso illusorio di superiorità che trovava e trova la sua spiegazione nel ritardo reale rispetto al processo progressivo della civiltà moderna, e contrappone l’arroganza di una presunta Kultur alla Zivilisation. Si pensi ad esempio alle Considerazioni di un impolitico del Thomas Mann precedente alla sua “conversione democratico-freudiana” (4).

Thomas Mann, qui 1929
(4) Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico, a cura di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi Milano 1997. Thomas Mann, Rendiconto parigino, in: Scritti storici e politici, trad.it. di Livia Mazzucchetti, 1957, pp. 198-205. – M. Bäumler. H. Brunträger. H. Kurzke, Thomas Mann und Alfred Bäumler, Eine Dokumentation, Verlag Dr. Johannes Königshausen + Dr.Thomas Neumann, Würzburg 1989.

Interessi dei ceti minacciati si sarebbero uniti con tutte le categorie dei sorpassati della storia nella composizione dei fasci e delle SA-SS generando una rivolta contro la razionalità del corso storico che avrebbe trovato nell’avventuriero Mussolini e nel folle-criminale Hitler le sue guide irrazionali. Questa interpretazione generale della storia contemporanea ha il suo fondamento nella comprensione illuministica della storia che si basa sulla dialettica tra progresso e reazione, che trova la sua determinazione concettuale nelle categorie di modernità e di arretratezza. Naturalmente anche per la Russia si deve parlare di arretratezza, ma il comunismo dei bolscevichi di Lenin avrebbe agito nel senso del progresso rispetto alla situazione precedente, perché la stessa instaurazione del capitalismo operata dalla Rivoluzione d’Ottobre, eliminando il modo di produzione asiatico, avrebbe costituito la base necessaria per l’avvento del comunismo. Del tutto al contrario fascismo e nazionalsocialismo costituiscono tragiche involuzioni rispetto alla Zivilisation raggiunta sia dall’Italia che in particolare dalla Germania. Di più, il nazionalsocialismo, che in termini polemici viene chiamato nazismo, avrebbe costituito una regressione che non ha pari nella storia, un unicum talmente radicale che riporta l’umanità dalla civiltà alla barbarie, tanto da poter parlare per esso di una categoria inedita, teologico-mitologica-metastorica mai usata prima: il male assoluto. Male assoluto che si sarebbe realizzato storicamente nel cosiddetto Olocausto, il genocidio del popolo ebraico operato dalla Germania hitleriana: la Shoah. L’unico assoluto che non può essere secolarizzato.

Da Jürgen Thorwald all’Historikerstreit.

Jürgen Thorwald, a 90 anni
Ora il libro di Thorwald è estremamente importante perché esso sulla base di “2000 documenti all’incirca, di fonti a stampa o manoscritte, di libri, opuscoli, giornali, volantini, lettere, diari, dichiarazioni degne di fede, rapporti particolareggiati sui ricordi di personalità che un tempo furono di primo piano, ed ancora di resoconti stenografici di esaurienti colloqui dell’autore con altre personalità” (5) non solo aiuta ad elaborare una critica di questa concezione storiografica, ma anticipa, non sul piano rigorosamente teoretico-transpolitico e storiografico, ma su quello dell’effettivo svolgimento dei fatti e della diretta riflessione su di essi, le problematiche e le tesi che sono state al centro dell’infocata discussione e delle violente polemiche del cosiddetto Historikerstreit nella Germania degli anni ottanta (6). La visione storiografica dominante, che abbiamo precedentemente delineato, viene sottoposta ad una critica radicale proprio perché Ernst Nolte nel saggio Die Vergangenheit, die nicht vergehen will (Il passato che non vuole passare) del 6 giugno 1986, farà uso di quella categoria dell’interdipendenza che il libro di Thorwald dimostra in pratica nella sua verità. Questo significa che Ernst Nolte, per così dire, ha espresso con forza storico-teoretica e quindi transpolitica ciò che Thorwald ha descritto e raccontato nella sua ricostruzione degli eventi del tragico inverno 1944-1945 sul fronte delle regioni della Germania orientale dalla Prussia orientale alla Pomerania, dalla Slesia alla Curlandia.

(5) Jürgen Thorwald, op.cit., p. 633.
(6) Dell’innumerevole letteratura sull’Historikerstreit ricordiamo: “Historikerstreit” Die Dokumentation der Kontroverse um die Einzigartigkeit der nationasozialistischen Judenvernichtung, Texte von Augstein – Bracher – Broszat – Brumlik – Euchner –Fest – Fleischer – Geiss – Habermas – Helbling – Hildebrand- Hillgruber – Jäckel – Kocka – Leicht – Löwenthal – Meier – Möller – H. Mommsen – W. Mommsen – Hipperdey – Nolte – Perels – Schulze – Sontheimer – Stürmer – Winkler. – Piper Verlag, München 1987. – In italiano: E. Nolte – J. Habermas – K. Hildebrand – J. Fest – J. Kocka – H. Mommsen – M. Broszat – R. Augstein – A. Hillgruber – W. Mommsen, Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca – a cura di Gian Enrico Rusconi, Einaudi Torino 1987.

Interdipendenza significa quindi che non si può parlare del Nazionalsocialismo senza riferirsi al nemico, il bolscevismo, combattendo il quale esso ha preso forma e ha dato la ragione di se stesso. Si ha l’abitudine di dire che Ernst Nolte avrebbe concepito il Nazionalsocialismo come reazione al bolscevismo e proprio la lettura del libro di Thorwald ci fa toccare con mano come quel che è accaduto sia molto più profondo e vincolante e non si tratti affatto di un mero processo di azione-reazione. In Hitler l’odiosa figura terrorizzante del bolscevismo è diventata in certa maniera, forse in modo del tutto inconfessato (anche se Hitler permise la pubblicazione de L’estremismo malattia infantile del comunismo di Lenin per insegnare come si deve combattere il nemico, come ci ricorda il Linkskommunist Otto Rühle nel suo Der Kampf gegen den Faschismus beginnt mit dem Kampf gegen den Bolschevismus del 1939) il modello-guida. Ma vi è una frase di Ernst Nolte che tematizza nel modo più preciso a livello teoretico-storiografico e transpolitico gli eventi raccontati da Thorwald:
Ernst Nolte (1923-2016)
“Bolscevismo e Nazionalsocialismo furono sempre delle antitesi, e lo restarono sino alla fine, ma non furono mai contrapposti l’uno all’altro in nessun momento in maniera contraddittoria e quanto più la guerra si avvicinava alla sua fine tanto più divenne conoscibile uno scambio delle caratteristiche” (7).

(7) Ernst Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo – La guerra civile europea 1917-1945 – trad.it. di Francesco Coppellotti, Vera Bertolino, Giovanni Russo, Sansoni Firenze 1988. p. 415. Citiamo da questa che è la prima edizione della traduzione italiana dell’originale tedesco di Ernst Nolte. L’editore Sansoni per motivi editoriali di marketing fece diventare titolo quello che nell’edizione tedesca è il sottotitolo: Der europäische Bürgerkrieg 1917-1945 – Nationalsozialismus und Bolschewismus – Ullstein Verlag Propyläen, Frankfurt a.M. – Berlin 1987, p. 517.

Scrive Thorwald nel capitolo 5 intitolato Tra la Vistola e l’Oder dopo aver narrato l’affondamento della nave “Wilhelm Gustloff” da parte dei sovietici (evento sul quale è ritornato suscitando grande scalpore Günther Grass nel suo romanzo Im Krebsgang del 2002) raccontando l’incontro e il dialogo drammatico tra l’appuntato Paul Scholtis con il professor Schubert nel febbraio del 1945. Schubert era un professore di etnologia radicalmente anti-hitleriano e Scholtis per molti anni era stato suo allievo e nella soffocante atmosfera del Ministero per l’Oriente aveva con lui sostenuto  una spossante lotta contro il Commissariato del Reich in Ucraina e contro il Gauleiter dominato dalla megalomania: “Sono venuto soltanto per dirvi qualcosa... Sono stato uno sciocco maledetto, e voi mi avete reso tale... Vi voglio dire che deploro persino il minimo passo da me compiuto al Nogat contro Koch ed in favore di quelle bestie assassine bolsceviche. Deploro tutto e maledico tutto. Noi abbiamo avuto torto. Hitler aveva ragione, Koch aveva ragione, avevano ragione coloro che volevano annientare, estirpare, sterminare. – Improvvisamente cominciò a gridare: – Se non avessimo lasciato traccia di vita, essi non sarebbero qui e non potrebbero violentare, assassinare, deportare!.. Così è: di fronte ai bolscevichi e di fronte all’intero Oriente la politica dell’umanità non è possibile. Per i popoli civili si tratta di questione di vita o di morte e vincitore resta chi per primo fa piazza pulita e nel migliore dei modi, Hitler lo sapeva; tutti noi, sabotando, limitando o non eseguendo un ordine, anche uno solo, per scrupoli di coscienza, non abbiamo udito l’imperativo dell’ora. Dovremmo comparire davanti ad un tribunale composto da coloro che oggi sono vittime della canaglia asiatica. Al massimo dovremmo essere portati in giudizio – insistette Schubert – perché non siamo riusciti ad impedire che si effettuasse la marcia in Russia, o che assumesse forme politiche così pazzesche. Ed in tribunale, come sempre è accaduto, si deve portare soltanto chi ha fomentato la vendetta e l’odio scatenato, preparando il terreno ai più malvagi istinti. Il giovane strinse i pugni. – Siete cieco come lo possono essere soltanto gli apostoli dei sentimenti umanitari. Siete cieco perché non avete più famiglia da perdere e potete rivoltarvi nelle vostre teorie. Avete visto i lattanti uccisi presso Neuteich? (8) E le donne che più non riuscivano a trascinarsi perché in una notte erano state violentate venti e magari quaranta volte? E le ragazze dodicenni i cui corpi devastati sanguinavano? Non avete visto, nulla, nulla, nulla! Non potete vederlo perché la vostra orribile stupidità si è in voi mutata in coscienza. E la vostra stupidità è la stupidità di quelli che dall’Occidente proseguono nell’attaccarci allegramente, e si comportano in modo tanto sublime perché sono scesi in campo contro il regime di Hitler, indegno dell’umanità... Combattono per l’umanità e per il diritto! Suonano bene queste parole! Si collegano con un continente brutale e se ne fanno i lenoni. Sono consci di essersi sollevati contro la politica di Hitler in Oriente, contro la lotta antibolscevica, contro la politica hitleriana di annientamento dell’Unione Sovietica. Fra pochi anni comprenderanno la loro certezza, poi che ne va del loro collo se questa ondata omicida li sommerge. E sarà per loro un pauroso risveglio. Capiranno allora che il secolo delle frasi umanitarie è trascorso e che i popoli civili possono proteggersi contro l’ondata comunista soltanto annientandola, spietatamente, con ogni mezzo, come si faceva nei tempi antichi, quando era ancora vivo il senso della naturale separazione fra i popoli e le razze. Mi viene da sputare quando ascolto la radio di Londra e di New York, che vogliono insegnarci l’umanità e il diritto. Qui deve venire Churchill, qui deve venire Roosevelt!” (9).

Queste frasi sono uno dei tanti esempi del libro dai quali emerge che cosa significhi in realtà quella “assenza di contrapposizione in maniera contraddittoria” di cui parla Ernst Nolte e che Gian Enrico Rusconi ha tentato di criticare nella sua prefazione alla traduzione italiana di Nazionalsocialismo e bolscevismo, la guerra civile europea 1917-1945 (10), dissolvendo il Gulag come prius logico-fattuale di Auschwitz, e quindi il nesso causale, cioè la natura del rapporto11 tra il Gulag ed Auschwitz “negli elementi psicologici e cognitivi troppo complessi perché possa essere ricondotta a quella di semplice causa-effetto”12 e sostenendo in modo grottesco che il torto di Nolte sarebbe quello di avere “un approccio cognitivo alla problematica storica”13, come se fosse possibile fare storia e interpretarla senza “approcci cognitivi”.

(8) Neuteich oggi è la polacca Nowy Staw, una cittadina di 4.400 abitanti che faceva parte della Prussia occidentale e che oggi fa parte del Powiat Malborski della Wojewodschaft Pommern polacca.
(9) Jürgen Thorwald, op.cit. pp. 247-248.
(10) Per collocare nella sua giusta luce il rapporto che abbiamo tentato di elaborare tra Thorwald e Nolte, è interessante ricordare per la situazione della storiografia del secondo dopoguerra italiana e non solo, ciò che è avvenuto nella vicenda della traduzione italiana del testo classico di Ernst Nolte: La guerra civile europea 1917-1945, Nazionalsocialismo e bolscevismo. L’edizione italiana di questo libro è uscita nel 1988 senza l’autorizzazione del traduttore Francesco Coppellotti, perché l’editore Sansoni ha fatto sparire il testo della traduzione che il traduttore gli aveva consegnato e non gli ha mai dato la possibilità di vedere e correggere le bozze. Di più, il testo della mia traduzione, che io non ho mai potuto rivedere nelle bozze, è stato corretto a cura dell’allora cellula comunista di storia dell’Università di Firenze. Si tratta quindi di una traduzione non autorizzata dal traduttore. Di più, la prefazione di Gian Enrico Rusconi è stata imposta al traduttore “per coprire l’opera di Ernst Nolte a sinistra”, senza l’autorizzazione dell’autore (Nolte chiamava Rusconi la sua baby-sitter, che gli era stata messa alle costole in Italia) e, nonostante tutti i tentativi del traduttore per impedirne la pubblicazione, senza la prefazione di Rusconi il testo di Nolte non sarebbe mai stato pubblicato. La nuova edizione dell’opera pubblicata da Sansoni-Rcs, con ulteriori istruzioni per l’uso di Gian Enrico Rusconi, non è mai stata autorizzata dal traduttore che non ha mai potuto rivedere le bozze e che non ha mai potuto recuperare il testo originale della traduzione che l’editore, il 18 gennaio 1993, ha dichiarato definitivamente “perduto o distrutto”. Ho raccontato tutta questa vicenda ed altro in: Ernst Nolte, Dramma dialettico o tragedia? La guerra civile mondiale e altri saggi, a cura di Francesco Coppellotti, Settimo Sigillo, Perugia University Press, Roma 1994, pp. 171-177.
(11) Sul nesso causale Nolte è ritornato in altri testi che non sono ancora stati tradotti in italiano: 1. Der kausale Nexus – Über Revisionen und Revisionismen in der Geschichtswissenschaft – Studien, Artikel und Vorträge 1990-2000, Herbig Verlag, München 2002. 2. Helmut Fleischer – Pierluca Azzaro, Das 20.Jahrhundert Zeitalter der tragischen Verkehrungen – Forum zum 80. Geburtstag von Ernst Nolte, Herbig Verlag, München 2003.
(12) Gian Enrico Rusconi in: Introduzione a Nazionalsocialismo e bolscevismo, la guerra civile europea 1917-1945, Sansoni Firenze 1988, p. XX.
(13) Gian Enrico Rusconi, op.cit., p. VII.

Ancora, che cosa significa dunque questa “assenza di contrapposizione in maniera contraddittoria” implicita nel nesso causale tra il Gulag ed Auschwitz? Vuol dire che il Nazionalsocialismo è stato subordinato al comunismo bolscevico nella sua opposizione, perché ha assunto il principio dell’annientamento dei gruppi sociali (la borghesia e i kulaki per i bolscevichi) tipico del bolscevismo rovesciandolo, restandone però la sua immagine speculare: ha trascritto in termini biologico-naturalistici (il popolo ebraico) le categorie storico-sociali del bolscevismo (la classe borghese). Ma l’avvento della rivoluzione russa bolscevica e la conseguente guerra civile europea e mondiale in tutti i loro sviluppi (che non sono di certo, come recita ancora la liturgia resistenziale, guerra per la civiltà contro la barbarie) introducono nei rapporti sociali e politici il principio dell’annientamento. In questo senso Nolte sostiene, a differenza delle tesi Hannah Arendt, che la sua è una “versione storico-genetica della teoria del totalitarismo”. La razza viene quindi contrapposta alla classe e da questa prima opposizione seguono tutte le successive. Alla futura società senza classi che è la fine della preistoria e l’inizio del Regno della libertà corrisponde il mito della ritrovata purezza razziale. All’ideale dell’eguaglianza si oppone la società dei signori, a quello della pace universale che seguirà alla rivoluzione, la quale giustifica ogni forma di terrore, si contrappone il principio della guerra: e così via. Certamente il riconoscimento indiscutibile della realtà del nesso causale tra il Gulag e Auschwitz implica necessariamente l’abbandono del mito negativo storico-metastorico del male assoluto che, come fenomeno unico nella storia, il nazismo avrebbe realizzato. D’altra parte proprio l’affermazione del nesso causale permette di capire come il nazismo non possa apparire in nessun modo come la difesa di quei valori che il comunismo bolscevico ha negato, proprio perché esso ne è l’immagine speculare rovesciata. Afferma Nolte: “La soluzione finale in quanto annientamento tendenzialmente totale di un popolo mondiale si distingue in modo sostanziale da tutti i genocidi ed è l’esatta immagine rovesciata dell’annientamento tendenzialmente mondiale di una classe mondiale ad opera del bolscevismo ed in questo senso è pertanto la copia biologicamente coniata dell’originale sociale. Tuttavia proprio per questo essa non è un annientamento meramente biologico ma implica, nell’orizzonte del processo storico nel suo complesso, una decisione contro il progresso, pur sulla base di realtà progredite, mentre il bolscevismo fu una decisione per il progresso, ma in stretta relazione con realtà arretrate” (14). La cultura laico-illuminista e quella marxista assolutizzando l’Olocausto ebraico come realizzazione del male assoluto e conferendogli un carattere unico ed incomparabile, una sorta di EFAPAX che prende il posto dell’Incarnazione cristiana, non solo non riescono a spiegare perché la Germania, dopo la pace di Versailles e “l’umiliazione della morale” che essa ha rappresentato, abbia scelto il nazionalsocialismo e non il nazionalbolscevismo per superare la sua disperazione (15), ma finisce per relativizzare e banalizzare gli altri genocidi della storia.

(14) Ernst Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo – La guerra civile europea, op.cit. p. 415.
(15) In merito cfr.: Ernst Nolte, Die Weimarer Republik, Demokratie zwischen Lenin und Hitler, Herbig Verlag, München 2006 – trad. it. di Francesco Coppellotti – La Repubblica di Weimar, un’instabile democrazia fra Lenin e Hitler, Christian Marinotti edizioni, Milano 2006.

Non solo. E qui interviene di nuovo l’importanza di un libro come quello di Thorwald. Per affermare il carattere unico e incomparabile dell’Olocausto ebraico la cultura laico-illuminista e quella marxista, con la loro filosofia della storia e la loro liturgia della memoria, hanno bisogno di ignorare del tutto o almeno di occultare ciò che l’Armata rossa ha compiuto per annientare e deportare la popolazione tedesca sul fronte orientale nella fase finale della seconda guerra mondiale. Il libro di Thorwald dimostra doppiamente il carattere indiscutibile del nesso causale tra il Gulag ed Auschwitz. Infatti l’attacco hitleriano con i suoi Einsatzgruppen, lo sterminio dei commissari del regime bolscevico, del giudaismo orientale, la volontà di colonizzare l’Unione Sovietica schiavizzando per motivi razziali anche le popolazioni slave che avevano accolto la Wehrmacht come liberatrice dalla tirannide stalinista (16) è la dimostrazione che Hitler ha voluto realizzare la sua negazione del “giudeo-bolscevismo” (17) annientando con motivazioni razziali, “la copia biologicamente coniata dell’originale sociale”, i fautori dell’annientamento sociale mondiale della borghesia e delle elite nazionali russe e baltiche. Osserva Thorwald:
“Il generale sovietico Vlassov, che nella battaglia di Mosca del 1941/42 si era guadagnati grado e decorazioni, caduto prigioniero era stato fatto poco dopo comandante supremo d’armata. Non era un emigrato, non era un soldato zarista passato all’Armata rossa. Era un figlio di contadini, un comunista fin dalla gioventù, che in seguito si era accorto del baratro esistente tra l’insegnamento socialista e la realtà sovietica. Aveva creduto di poter sconfiggere Stalin ed il bolscevismo con l’aiuto di Hitler... Vlassov sarebbe stato in grado di creare un esercito russo di milioni di uomini, con i Russi e con coloro che parlavano russo, i quali amavano la propria patria ma non Stalin e di vincere la guerra in Oriente non solo militarmente, ma anche sul piano umano. Non poteva però farlo per aiutare Hitler a costruirsi un impero coloniale russo. Probabilmente sino a quei giorni spaventosi né Hitler né Rosenberg avevano capito quale fosse stata la possibilità loro offerta. Essi tolleravano che sul fronte orientale si costituissero formazioni russe e formazioni di altri volontari che, assai disseminate, volevano e dovevano combattere Stalin. Dovevano però restare formazioni di servi della gleba al servizio dei padroni tedeschi. Invano Vlassov si era battuto insieme ai Tedeschi che lo sostenevano, per ottenere un riconoscimento. Solo nel tardo autunno del 1944, quando tutto ormai era perduto, si era permesso a Vlassov di apparire con un manifesto e con un appello per la costituzione di un’Armata russa e di un comitato governativo antistaliniano. Fu lo stesso Himmler, colui che costantemente aveva sostenuto un impero coloniale tedesco in Oriente e uno stato di lavoratori slavi sottoposti ai padroni germanici, fu lo stesso Himmler che all’ultima ora portò Vlassov alla ribalta. Si era deciso dietro le vive pressioni di alcuni consiglieri, i quali... avevano convinto Himmler a dare a Vlassov il permesso di leggere a Praga un manifesto e di fondare un “Comitato per la liberazione dei popoli russi” (18).
(16) In diversi punti del libro Thorwald sostiene che dapprima la Wehrmacht era stata accolta come liberatrice e che in alcuni settori della stessa era diffusa l’idea che sarebbe stato possibile ottenere la vittoria su Stalin alleandosi con i russi antibolscevichi, con gli Ucraini ed altri popoli slavi. Cfr. Jürgen Thorwald, Die Illusion. Rotarmisten in Hitlers Heeren, München 1974, pp.9-22; Prima edizione: Wen sie verderben wollen. Bericht des großen Verrats, Stuttgart 1952; Wlassow. Kapital verspielt, in: Spiegel, 24.12.1952, p. 27-31.
(17) Sull’uso della categoria politica e storiografica del “giudeo-bolscevismo” cfr.: Ernst Nolte, Streitpunkte, Heutige und künftige Kontroversen um den Nationalsozialismus, Propyläen, Berlin-Frankfurt a. M. 1993. La traduzione italiana di quest’opera è stata curata da Francesco Coppellotti ed è stata pubblicata dall’editore Corbaccio di Milano nel 1999, all’interno della collana storica diretta da Sergio Romano, con il titolo: Controversie, Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento. Anche questa traduzione è stata sottoposta dalla Casa editrice ad opera di un correttore, di cui il traduttore non ha mai potuto sapere il nome, ad una serie di stravolgimenti della traduzione originale, che il traduttore, nonostante la lettura delle prime bozze, non è riuscito ad impedire nonostante tutti i suoi sforzi, trovandosi di fronte al ricatto: o così come noi l’abbiamo corretta o non si pubblica. O ancora all’osservazione: negli Stati Uniti i libri li rifanno, noi ci siamo limitati a correggerlo. Sempre sulla questione del “giudeo-bolscevismo” cfr.: Johannes Rogalla von Bieberstein, “Jüdischer Bolschewismus” Mythos und Realität, Mit einem Vorwort von Ernst Nolte, Schnellroda: Edition Antaios, 2003. 
(18) Jürgen Thorwald, op.cit., pp. 257-258.

E la sconfitta di Hitler, (il quale, come racconta lucidamente Thorwald, per un verso contro il parere dei suoi generali sembrava addirittura non credere all’attacco russo e per l’altro verso voleva che la Wehrmacht, negando ogni ritirata strategica, resistesse a tutti i costi fino alla morte nelle città trasformate in fortezze e piazzeforti nonostante la fortissima sproporzione delle forze in campo, laddove l’Armata rossa di Konev, Rokossovskij e Zukov era a seconda dei casi da cinque a undici volte superiore ), ha dato il via all’annientamento e alla deportazione della popolazione tedesca delle regioni orientali del Reich, dalla Prussia orientale a Memel, dalla Prussia occidentale a Danzica, dalla Pomerania orientale al Brandeburgo orientale, dal Warthegau alla Slesia e ai Sudeti. Si tratta all’incirca di un complesso di quasi 12 milioni di persone, di cui quasi sette milioni di espulsi e deportati, quasi due milioni e mezzo di deceduti e dispersi e quasi due milioni di superstiti. Nella tragedia delle popolazioni tedesche del Reich orientale spicca, nel testo di Thorwald, per il suo carattere atroce il destino di tutti i tedeschi dei Sudeti e della Boemia-Moravia che popolavano lo Stato di Eduard Beneš, il quale rientrato a Praga (19) dopo sette anni di assenza, prese posto sul seggio di presidente della Repubblica e col suo governo nazionalcomunista ottenne da Churchill ed alleati il consenso a liberarsi di tutti i tedeschi che popolavano il suo Stato.

(19) Jürgen Thorwald, op. cit., Parte seconda, cap. 3. L’isola dei dammati, o la tempesta su Praga. Cfr. anche: Marco Piconi Chiodo, E malediranno l’ora in cui partorirono, l’odissea tedesca fra il 1944 e il 1949, Editore Mursia, Milano 1987. È molto significativo osservare come nella raccolta di saggi contenuti in Spostamenti di popolazione e deportazione in Europa, 1939-1945, Bologna, Cappelli 1987, (si tratta degli atti del convegno dall’identico titolo tenutosi a Carpi nell’ottobre del 1985 sotto gli aupisci della Regione Emilia Romagna) Enzo Collotti nella sua introduzione si limiti ad osservare che “gruppi di nazionalità tedesca furono costretti a rientrare nei confini degli Stati tedeschi”. (p. 8)

A questo proposito è necessario ricordare che nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) Roosevelt e Churchill avevano dichiarato che i loro due paesi rinunciavano esplicitamente a “guadagni territoriali o d’altro genere” e si obbligavano a “respingere modifiche territoriali che non fossero conformi alla volontà espressa dai popoli interessati”. Questo impegno era vincolante per tutte le nazioni firmatarie della Carta, compresa l’Unione Sovietica. Ma via via nel corso della guerra venne dichiarata da Churchill “la non validità della Carta Atlantica nei confronti dei paesi nemici”, a partire dal 24 gennaio 1943 a Casablanca fu stabilito il principio della “resa incondizionata”, il 15 marzo 1943 venne accolta la pretesa polacca di annettersi la Prussia orientale, il 28 novembre 1943 a Teheran prese corpo l’idea del passaggio della Slesia alla Polonia per compensarla delle rivendicazioni territoriali avanzate da Stalin, il 4 febbraio 1945 a Yalta fu indicato come limite di estensione della Polonia ad Ovest la Neisse occidentale e riaffermata la volontà di disarmo, smilitarizzazione, smembramento della Germania e finalmente il 17 luglio 1945 a Potsdam venne sancita l’espulsione dei tedeschi da tutti i territori orientali, seguita dall’affermazione della teoria della “responsabilità collettiva” del popolo tedesco e dalla decisione di perseguire i crimini di guerra dei vinti (20).

(20) Nella seduta pomeridiana del 24 luglio 1947 dell’Assemblea Costituente Benedetto Croce intervenne nella discussione del progetto di legge per l’approvazione del Trattato di pace di Parigi tra le potenze alleate e l’Italia e tra l’altro disse: “E qui mi duole di dover rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti, dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria. Chi sottopone questa materia a criteri giuridici, o non sa quel che si dica, o lo sa troppo bene, e cela l’utile, ancorché egoistico, del proprio popolo o Stato sotto la maschera del giudice imparziale. Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare, sotto nomi di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti... Parimenti si è preso oggi il vezzo che sarebbe disumano, se non avesse del tristemente ironico, di tentar di calpestare i popoli che hanno perduto la guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi: che è tale pretesa che neppure Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé... Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati ma degli illegittimi giudici.” Benedetto Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore in Roma 1983, pp. 205-207.

Quando  nell’aprile-maggio del 1945  Radio Praga incitava gli insorti al grido di “Je revoluce, smrt všem nĕmcům!” (“È rivoluzione, morte a tutti i tedeschi”) riprendeva, mettendoli in pratica, gli incitamenti della propaganda sovietica fissata nelle parole di Ilja Ehrenburg citate da Thorwald:
 “Uccidete, miliziani rossi, uccidete! Non c’è nessuno fra i fascisti che non sia colpevole: i vivi no e neppure i non nati. Uccidete!”
“I soldati dell’Armata rossa ardono, quasi fossero paglia, per fare dei tedeschi e della loro capitale la fiaccola della propria vendetta. A Berlino! Questo nome fa risuscitare persino i morti, e significa vita. Soldati dell’Armata rossa, l’ora della vendetta è suonata.” (21)

(21) “Le indicazioni sulla parte di Ilja Ehrenburg nella propaganda sovietica si basano su dichiarazioni di profughi, su manifestini da essi mostrati come ricordo delle crudeltà e su indicazioni di prigionieri tedeschi che riuscirono a fuggire. Quando nel 1961 Ehrenburg, nel corso della pubblicazione delle sue memorie, volle tornare in contatto con il mondo occidentale, fece contestare la sua partecipazione a simile propaganda dall’editore della Germania occidentale al quale intendeva affidare il proprio libro.” Cfr.: Jürgen Thorwald, op.cit., p. 292.

O ancora un volantino della propaganda sovietica citato dallo storico Michael Marrus: “Valorosi soldati della vittoriosa Armata rossa spezzate l’orgoglio razziale della donna tedesca! Prendetela come vostro legittimo bottino. Uccidete!” (22) Riportando questo volantino della propaganda sovietica nella sua prefazione alla traduzione italiana di un saggio di Andreas Hillgruber: Zweierlei Untergang. Die Zerschlagung des Deutschen Reiches und das Ende des europäischen Judentums, Berlin Siedler Verlag 1986, Ernesto Galli della Loggia scrive:
“L’irruzione dell’Armata rossa nelle province della Prussia orientale è una pagina della storia assolutamente sconosciuta in Italia e dunque qualcosa che non è mai entrato – o che non è mai stato reputato opportuno che entrasse – nella formazione del giudizio etico-politico e quindi storiografico, sull’evento ‘guerra’ e sui suoi protagonisti... George Gennan, il diplomatico statunitense che subito dopo l’avanzata dell’Armata rossa ebbe l’incarico di sorvolare la regione, riferì nel suo rapporto che ‘a giudicare da tutte le prove esistenti il passaggio delle forze sovietiche non ha lasciato vivo neppure un uomo, una donna o un bambino della popolazione indigena. Un’analoga violenza contro popolazioni civili tedesche – di cui ancora una volta, praticamente nulla sappiamo in Italia – fu esercitata su scala di massa in tutta l’Europa centro-orientale, e si accompagnò ad una loro massiccia espulsione da quei paesi” (23).
Ernesto Galli della Loggia, pur senza mettere in discussione la dialettica fascismo-antifascismo, la categoria del male assoluto e ignorando del tutto “l’ambivalente trionfo del ‘messianismo giudaico’ nella seconda guerra mondiale” (24), si chiede se non sia il caso di “frantumare dall’interno l’‘antifascismo’ come autonoma categoria ideologica, e dunque, per conseguenza, anche ogni punto di vista storiografico che ad esso voglia richiamarsi circa l’evento ‘Guerra mondiale’” (25).

(22) Michael R. Marrus, The Unwanted. European Refuges in the Twentieth Century, Oxford, Oxford University Press, 1985, pp. 301 e 325-26.
(23) Ernesto Galli della Loggia, in: Andreas Hillgruber, Il duplice tramonto, La frantumazione del “Reich” tedesco e la fine dell’ebraismo europeo, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 17-18.
(24) Ernst Nolte, Der zweite Weltkrieg und der ambivalente Sieg des “jüdischen Messianismus”, in: Geschichtsdenken im 20 Jahrhundert, von Max Weber bis Hans Jonas, Propyläen, Verlag Ullstein, Berlin-Frankfurt a.M. 1991, pp. 317-329.
(25) Ernesto Galli della Loggia, op.cit., p.18.

Le parole del liberale Ernesto Galli della Loggia sembrano echeggiare quelle del marxista eretico Amadeo Bordiga quando sosteneva che “il peggior prodotto del fascismo è l’antifascismo... il partigiano è quello che combatte per un altro, se lo faccia per fede, per dovere o per  soldo poco importa” (26). Rileggere e ricominciare da Thorwald alla luce dell’Historikerstreit significa abbandonare la concezione della storia quale dramma dialettico alla maniera brechtiana ed aprirsi ad una concezione tragica della storia, non per amore della tragedia, ma per amore della verità storica. Guardando alla storia del XX secolo e allo scontro di forze che lo ha caratterizzato Ernst Nolte osserva: “Ma nella lotta di queste forze risultò una realtà analoga a quella del destino di Antigone, poterono cioè nascere tragedie storiche e non solo individuali. Nessuna di queste tragedie fu più grande di quella del socialismo che evidentemente aveva in sé tante ragioni e tanto futuro e che tuttavia aveva torto poiché voleva imporre alla società nel suo complesso la sua legge, specialmente quando si era legato con la realtà imponente di un grande Stato. Di carattere tragico fu tuttavia anche il contro movimento che univa in sé in altro modo diritto storico e torto storico e trovò la sua incarnazione più forte in un altro Stato. La tragedia storica del XX secolo è la guerra civile politica e intellettuale, infine anche statale e militare, che il comunismo e il fascismo condussero l’uno contro l’altro, poiché nell’esaltazione del proprio diritto parziale sostenuto incondizionatamente al posto dell’equilibrio e del contrappeso delle forze intervenne la fatale ‘battaglia finale’ con tutti i suoi paradossi e le inversioni e i milioni di morti” (27).

(26) Amadeo Bordiga, Marxismo o partigianesimo, in “Battaglia comunista”, n. 14 del 1949.
(27) Ernst Nolte, “Lehrstück” oder “Tragödie”? Gedanken über die Interpretation der Geschichte des 20 Jahrhunderts, in: Lehrstück oder Tragödie, Beiträge zur Interpretation des 20.Jahrhunderts, Böhlau Verlag Köln Weimar Wien, 1991, p. 11. Trad. it. di Francesco Coppellotti in: Dramma dialettico o tragedia? La guerra civile mondiale e altri saggi. op.cit., pp. 25-26. 

Torino, 6 novembre 2016
Francesco Coppellotti