Sto proseguendo nella lettura del recentissimo libro di Peter W. Galbraith, La fine dell’Iraq, apparso da pochi giorni in traduzione italiana presso Mondadori. L’originale inglese è dello scorso anno, cioè del 2006. Al pari di altri libri che sto pure leggendo, è frequente l’impulso a scrivere annotazioni critiche via via che legge. Ma ciò può significare che non arriverò all’Ùltima pagine del libro in lettura sequenziale. Tuttavia, voglio qui fare una di queste annotazioni.
L’autore ha passione da archivista. Si preoccupa di raccogliere tutti i documenti che possono poi servire ad imbastire il solito processo per genocidio da infliggere al nemico vinto, ovvero per fornire motivazioni adatte ad orientare le opinioni pubbliche a favore di un intervento militare contro questo o quello stato, detto “canaglia” con grande sofisticazione scientifica. Si tratta chiaramente di una carità “pelosa” e di un ulteriore mezzo bellico: la “diffamazione”, fondata o infondata che sia, dell’avversario, o meglio del “nemico” di turno, magari fedele alleato, appena il giorno prima.
Da quale pulpito viene la predica, il sermone morale? Basta una elementarissima conoscenza della storia degli USA per chiedersi: a) della sorte degli indiani d’America; b) della tratta dei negri e della discriminazione razziale fino ai nostri giorni; c) lo statuto morale della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Nessun processo è stato mai imbastito contro gli USA, che invece si ergono a moralisti e giudici del mondo intero.
In Medio Oriente stanno recitando il copione scritto per l’Europa prima e dopo il 1945. Chiaramente, il Medio Oriente non è l’Europa. Ma ciò che gli USA, in stretta intesa con Israele, ci è molto utile a ben vedere per capire cosa è stato fatto a noi europei e cosa siamo in conseguenza di ciò che a noi è stato fatto. Qui mi rendo conto che le valutazioni si divaricano, ma qui fermo anche questa mia estemporanea riflessione in margine al libro di Peter W. Galbraith.
L’autore ha passione da archivista. Si preoccupa di raccogliere tutti i documenti che possono poi servire ad imbastire il solito processo per genocidio da infliggere al nemico vinto, ovvero per fornire motivazioni adatte ad orientare le opinioni pubbliche a favore di un intervento militare contro questo o quello stato, detto “canaglia” con grande sofisticazione scientifica. Si tratta chiaramente di una carità “pelosa” e di un ulteriore mezzo bellico: la “diffamazione”, fondata o infondata che sia, dell’avversario, o meglio del “nemico” di turno, magari fedele alleato, appena il giorno prima.
Da quale pulpito viene la predica, il sermone morale? Basta una elementarissima conoscenza della storia degli USA per chiedersi: a) della sorte degli indiani d’America; b) della tratta dei negri e della discriminazione razziale fino ai nostri giorni; c) lo statuto morale della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Nessun processo è stato mai imbastito contro gli USA, che invece si ergono a moralisti e giudici del mondo intero.
In Medio Oriente stanno recitando il copione scritto per l’Europa prima e dopo il 1945. Chiaramente, il Medio Oriente non è l’Europa. Ma ciò che gli USA, in stretta intesa con Israele, ci è molto utile a ben vedere per capire cosa è stato fatto a noi europei e cosa siamo in conseguenza di ciò che a noi è stato fatto. Qui mi rendo conto che le valutazioni si divaricano, ma qui fermo anche questa mia estemporanea riflessione in margine al libro di Peter W. Galbraith.