GLI OCCHI BENDATI SUL GOLFO (1991).
Introduzione.
1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.
Fred Oberson:
-
Sono più di vent'anni, Alberto Mariantoni, che Lei percorre il
Medioriente, la zona del Golfo ed i paesi del nord Africa. Se dovesse
riassumere in qualche parola questa regione, come la dipingerebbe?
La
Mauritania è governata da una dittatura militare. Le lascio immaginare
il «clima» nel quale vivono gli abitanti di questo paese… tanto sul
piano delle libertà civili che su quello della vita di tutti i giorni.
L’economia è moribonda. La tratta degli
schiavi
è tutt’ora praticata nelle regioni più interne del paese, nonostante
l’interdizione ufficiale del governo. Senza contare la guerra che
potrebbe scoppiare da un momento all'altro con il vicino Senegal.
Nel Marocco, il nostro «amico» Hassan II è sempre contornato dalla stessa oligarchia
feudo-finanziaria.
La metà del territorio marocchino è praticamente proprietà privata di
una sola persona: Sua Maestà il Re. La pretesa libertà di stampa e
d’opinione, così come il multipartitismo, sono «marcati» a vista dalla
polizia del regime. La guerra contro il popolo Sahraui ha svuotato le
casse dello Stato senza risolvere il conflitto. La gioventù è frustrata e
delusa, «scalpita» per mancanza di sbocchi concreti all’interno della
società e le sue rivolte sono sistematicamente represse nel sangue.
L’economia agonizza. E questo nonostante le entrate in monete forti
provenienti dall'emigrazione e dal turismo.
Dopo
ventisei anni di potere assoluto in Algeria, il Fronte di Liberazione
Nazionale (FLN) è in piena crisi. Dal 1988 non fa che subire il rigetto
politico, economico e sociale della maggioranza della popolazione. Per
evitare al paese una rivoluzione islamica degli adepti del FIS (Fronte
islamico della salvezza), il Presidente Chadli Bedjedid ha autorizzato
il multipartitismo ed il ritorno in Algeria di alcuni leaders storici,
fin lì in esilio, come Ait Ahmed ed Ahmed Ben Bella. Più di quaranta
partiti recentemente organizzati si contendono ormai le spoglie dell'ex
granaio della Francia coloniale. I militari, restati fedeli al ricordo
del regime di Boumedienne, potrebbero essere tentati - dopo la
proclamazione della legge marziale (revocata poi il 29 settembre 1991) e
l'arresto dei principali leaders del FIS, rispettivamente nel giugno e
nel luglio 1991 - di «mettere d'accordo» tutta questa gente, fomentando,
magari, un colpo di Stato.
Nonostante l'eliminazione
politica del «Combattente supremo» (l'anziano Habib Burguiba) nel 1987,
la Tunisia ed il regime del Presidente Ben Ali continuano a degenerare.
Eppure una promessa di liberalismo politico, mai mantenuta, aveva fatto
posto alle «tempeste di sabbia» generate da Burguiba negli ultimi anni
del suo «regno». Poi, quasi immediatamente, Ben Ali si è ricordato che
era stato allievo della scuola militare francese di Saint Cyr, che era
stato responsabile della polizia tunisina e ministro degli Interni. li
suo regime si è quindi strutturato sull'immagine di un sistema
poliziesco ed inquisitore. Inutile meravigliarsi dell'assenza di libertà
di stampa e d'opinione, nonché della mancanza di elementari garanzie
legali e costituzionali. La società tunisina è in effervescenza: i
conflitti sociali aumentano d'intensità, la repressione s'intensifica e
le prigioni sono piene. In clandestinità, i fondamentalisti del gruppo
Anhada spiano qualsiasi occasione per prendere il potere. L'esplosione
generale può prodursi in qualsiasi momento, senza preavviso.
Ufficialmente
libera ed ammmistrata dalla Glamahiriya (un sistema di democrazia
diretta), la Libia è governata da una dittatura politico-militare uscita
dal colpo di Stato dello settembre 1969. Dopo un breve e florido
periodo, l'economia libica è divenuta inevitabilmente dipendente
dall'iniziativa pubblica e dalla sola risorsa energetica del paese, il
petrolio. Tra tutti i paesi del Maghreb, la Libia è la più prospera, ma
l'uomo della strada non sembra affatto trarre profitto dalla ricchezza
del paese. La libertà d'opinione non esiste che per coloro che
appoggiano il regime gheddafiano. Per gli altri, è la repressione. Il
sospetto e la paura regnano a tutti i livelli. Gli interessi privati di
certi dirigenti si frammischiano senza vergogna con quelli dello Stato.
li clientelismo e la corruzione imperano. L'imitazione pedissequa e
l'omertà sono di rigore. La violenza gratuita e l'arbitrario sono una
costante. Tutto ciò, naturalmente, all'insaputa del «Leader» della
rivoluzione che vive trincerato nella regione della Sirte, tra i
ghedafeda, i membri della sua tribù natale. Ufficialmente Gheddafi dice.
di essere un vero nazionalista arabo, al di sopra della «mischia» e
molto attaccato all'indipendenza ed al benessere del suo popolo. In
realtà, non è che un «neuropatico depressivo», per giunta manipolato,
nel corso degli ultimi anni, da una banda d'affaristi senza scrupoli
appartenenti alla sua stessa famiglia o al suo seguito.
In
Egitto, le cose non vanno affatto meglio. E questo nonostante
l'immagine di marca apparentemente bonaria ed il suo allineamento sulla
politica occidentale in occasione del conflitto del Golfo. li regime
egiziano resta una dittatura politico-militare sostenuta e manipolata da
un «iceberg» d'affaristi e di speculatori autoctoni legati alla finanza
internazionale ed alla politica di Washington. L'uomo di paglia
dell'Egitto, il Presidente Mubarak, è soprannominato «la vache qui rit»…
Per quest'ex generale d'aviazione non è affatto una disquisizione
accademica dire che «vola» molto, molto basso!
Il
potere, in Egitto, è monopolizzato dal NPD, il Partito nazionale
democratico, che ha ridotto il Parlamento al ruolo di semplice comparsa.
Dieci anni dopo l'assassinio di Sadat nel 1981, le «leggi speciali»
decretate all'epoca sono state prorogate «sine die» il 18 maggio 1991...
Questa eccezionalità della legislazione permette al Rais egiziano di
far arrestare i «pericolosi rivoluzionari» ed i «terroristi islamici».
In realtà, la maggior parte di questi prigionieri non sono che dei
semplici cittadini, esasperati e scontenti del regime. L'amico
americano, il Presidente George Bush, ha dato una boccata d'ossigeno al
suo omologo egiziano, annullando i debiti militari del paese che erano
calcolati in miliardi di dollari, per «servizio reso», in concomitanza
con la guerra del Golfo! Quest'intervento finanziario non è che un
momentaneo palliativo all'inevitabile disastro economico che grava sul
paese, ma permette a Mubarak di evitare la rivolta popolare che potrebbe
prodursi in Egitto come nel 1977.
Il
centro-nord del Sudan, a maggioranza musulmana, è controllato da una
giunta militare. Il sud, cristiano-animista, è in piena rivolta. Alla
guerra civile che continua ad insanguinare il paese dall'epoca di
Nimeiry, s'aggiungono la malnutrizione dovuta al sottosviluppo ed
all'arretratezza agricola ed industriale, e le epidemie per mancanza
d'infrastrutture sanitarie. Questo paese è uno dei più disastrati della
Terra, sia sul piano materiale che morale.
Saremmo
tentati di credere che il solo paese «occidentale» della regione che
stia sotto una buona «stella» sia Israele. Tuttavia, dall'epoca della
sua fondazione nel 1948, lo Stato ebraico vive in una situazione di
guerra permanente con i suoi vicini arabi. Il «clima» sviluppatosi con
l'Intifada nei Territori occupati rende la situazione più esplosiva che
mai dal 1987. La reazione dei Palestinesi si spiega attraverso i soprusi
- vessazioni, espulsioni, arresti, confisca delle terre, distruzioni
d'abitazioni e massacri d'ogni genere - che quest'ultimi hanno subito in
Cisgiordania e Gaza, nel Golan ed a Gerusalemme-est, nel corso degli
ultimi ventiquattro anni.
All'interno
dello Stato propriamente detto - ufficialmente democratico - il sistema
politico israeliano è apertamente discriminante. Pratica una
distinzione sistematica tra i cittadini nazionali ebrei ed i cittadini
arabi autoctoni (con passaporto israeliano) o installati nel paese prima
della guerra dei Sei giorni nel 1967 (16% della popolazione). La
discriminazione è esercitata a tutti i livelli: politico, religioso,
amministrativo, finanziario, sociale, educativo, culturale. Per non
citare che un esempio, il 92% delle terre del paese appartengono allo
Stato che le affitta esclusivamente ai soli israeliani di religione
ebraica. il rifiuto sistematico dei dirigenti israeliani di partecipare
ad una Conferenza di pace con i Palestinesi, dimostra chiaramente che il
clima di guerra perdurerà ancora per molto tempo in questa regione.
Analizziamo
il Libano dopo quindici anni di guerra «civile»: centomila morti,
trecentomila feriti, un milione di sfollati, due milioni di esiliati,
cinquanta miliardi di dollari di distruzioni. Oggi, il Libano ha
ufficialmente ritrovato la «pace», mi correggo, «la pax siriana»!
Quarantamila soldati siriani continuano ad occupare 1'85% del territorio
libanese, mentre il restante 15% è sempre controllato dagli israeliani e
dai loro alleati libanesi del sud del paese. I «mukabarat» (agenti
della polizia politica e dei servizi segreti) di Damasco sono presenti
dappertutto: persino negli uffici e negli appartamenti privati del
«Presidente» libanese Elias Hraui e dei membri del «governo» del primo
ministro Omar Karamé. Il governo fantoccio di Beirut obbedisce a
bacchetta al Presidente siriano Hafez al-Assad, con la benedizione del
re Fahd d’Arabia Saudita e dei suoi amici della Lega Araba. Il
parlamento libanese è completamente illegale. È stato eletto nel1972 –
dunque prima dll'inizio della guerra scoppiata nel 1975 – dal 12% della
popolazione e continua, nonostante tutto, a rimanese in carica,
usurpando sfacciatamente un mandato elettorale che avrebbe dovuto finire
nel 1976! Dopo la morte o le dimissioni di 40 deputati, i parlamentari
mancanti sono stati nominati d'ufficio da Damasco… Inutile sottolineare
che la libertà di stampa e d'opinione, come il rispetto dei diritti
dell'uomo, appartengono ormai ad un vago ricordo del passato. Dopo gli
accordi di Taef nel 1989, l'eliminazione del generale Aoun nel 1990 e la
firma dell'accordo siro-libanese del maggio 1991, il Libano ha perduto
la sua libertà e la sua indipendenza, divenendo, così, un semplice
protettorato siriano; con l'avallo, naturalmente, degli Stati Uniti e
delle Potenze occidentali. A quando l'annessione pura e semplice dell'Ex
Libano al «Bilad Esh-Sham‚, la Grande Siria?
In
Siria, la setta religiosa dei «Nusayris» o «Alauiti» rappresenta meno
del 12% della popolazione, ma questo non impedisce affatto ai suoi
adepti di monopolizzare la totalità del potere di questo paese. A sua
volta, questa setta è manipolata dalla «mafia» familiare del Presidente
Hafez el-Assad, divenuto «maestro» nell'arte di opprimere i suoi
concittadini attraverso gli arresti indiscriminati, le torture, le
esecuzioni sommarie o la sparizione pura e semplice. La Siria non è
altro che un gigantesco campo di concentramento, dove la libertà, la
democrazia e la giustizia sono state definitivamente bandite dal
yocabolario comune.
E
una specie di universo orwelliano dove ognuno spia e sospetta chiunque
ma questo, naturalmente, non sembra affatto urtare la «sensibilità»
morale dell'Amministrazione americana che, in questo momento (come già
avvenuto in passato con il regime di Saddam), giudica questo regime
estremamente valido ed indispensabile alla strategia statunitense nella
regione mediorientale.
Prima
dell'ultimo conflitto del Golfo, la Siria non era altro che la copia
conforme del suo vicino, l’Iraq. Quest'ultimo, in più, conosce, oggi, le
terribili conseguenze del dopoguerra: circa 150.000 morti, distruzioni
incalcolabili, due milioni di Curdi rifugiati nei «no men's land»
garantiti dall'ONU, migliaia di sciiti irakeni massacrati dalla
repressione brutale dell'esercito di Bagdad o in fuga verso il vicino
Iran. E malgrado ciò, Saddam Hussein ed il «clan» degli al-Takriti sono
sempre al potere.
In
Arabia Saudita e nell'insieme delle petromonarchie del Golfo, il potere
è sempre tenuto da un pugno di privilegiati che scambiano
sistematicamente le casse dei loro Stati per un portafoglio personale.
In questi Stati, amministrati da subdole e feroci dittature, a torto
ritenute di «diritto divino», i re, gli emiri, gli sceicchi, nonché le
loro famiglie, hanno tutti i diritti: compreso quello di vita e di morte
sui loro sudditi; il resto della popolazione, nessun diritto. Senza
contare lo stato di semi-schiavitù nel quale vivono i lavoratori
stranieri…
La
Giordania, popolata per oltre il 60% da Palestinesi, sta scivolando
verso 1'integralismo islamico. L'economia è in pieno sfacelo. La
famiglia regnante (Hashemita) teme più che mai che la soluzione del
problema palestinese passi attraverso la creazione di uno Stato sul suo
territorio.
I
due Yemen, recentemente unificati, sono alla mercè dei gruppi
fondamentalisti ed islamisti («islamista» = colui cioè che utilizza
l’Islam esclusivamente come un’ideologia politico-religiosa e
rivoluzionaria per laconquista del potere; da non confondere con
«islamologo» = colui cioeè che studia e approfodisce i problemi di
questa religione). Folle ogni giorno più numerose reclamano
l'applicazione della Sharia (la legislazione musulmana) ed il recupero
politico di tre province del nord del paese, annesse militarmente
dall'Arania Saudita negli anni ’30.
L’Iran
di Rafsandjani (il nuovo «Shah») vive in piena dittatura politica. Le
promesse della rivoluzione del 1979 non sono più che un ricordo. Il
clientelismo del potere favorisce una minoranza di privilegiati, a
discapito delle masse sempre più numerose di «mustazafin» (diseredati). I
vecchi metodi repressivi, già utilizzati dalla famigerata Savak
dell’epoca dello Shah, sono ritornati di moda; e 1'integralismo
religioso (da non confondere con 1'islamismo rivoluzionario predicato da
Khomeini) adottato dagli attuali responsabili del regime di Teheran,
sembra non avere più nulla da invidiare all'arretratezza culturale e
politica del wahhabismo saudita.
All’estremo
limite di questa regione, infine, resta l’Afghanistan. Dimenticato
dall’opinione pubblica e «messo in soffitta» dai governi dei paesi
occidentali, questo paese continua ad essere martoriato dalla guerra
civile. I sovietici hanno lasciato ufficialmente Kabul, ma il loro
«supervisore» personale, l'attuale Presidente comunista Nagibullah,
resta più che mai al potere. I milioni di rifugiati afghani dovranno
ancora attendere, prima di poter rientrare nel loro paese.