martedì, novembre 07, 2006

Passato e presente: problemi di interpretazione della storia

Ero studente di liceo al Visconti in Roma, quanto sentivo il mio professore di storia e filosofia citare Benedetto Croce a proposito del modo di ricostruire e interpretare la storia del passato. Si parte da un'esigenza del presente – così egli spiegava – e si ricostruisce il passato interpretandolo. La spiegazione mi sembrava ovvia e convincente. Provai a ripeterla all'università nei seminari tenuti da Armando Saitta, di cui per due anni ero stato fedelissimo discepolo o almeno studente, se i due termini non possono e debbono automaticamente equipararsi. Come studente mi andò più che bene sostenendo un ottimo esame. Ma non è di questo che voglio qui parlare, se non per esprimere un grato ricordo del Maestro.

E' invece interessante riportare la reazione di Armando Saitta alla mia citazione, presa non direttamente da Benedetto Croce, ma attraverso il ricordo dell'insegnamento liceale. Saitta disse che era assolutamente sbagliato quel modo di intendere la storia, ossia è come ricerca o metodo storico e come interpretazione. Ma anche Carl Schmitt ebbe a citare Benedetto Croce allo stesso riguardo e condividendone le conclusioni. Nel 1929, il 12 ottobre, in Barcellona, egli teneva la sua relazione su "L'epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni. Ad un certo punto dice testualmente: «Il fatto che ogni conoscenza storica è conoscenza del presente, che essa riceva dal presente la sua luce e la sua intensità e che nel senso più profondo serve solo al presente, perché ogni spirito è solo spirito presente, ce lo hanno detto a partire da Hegel in molti e nel modo migliore Benedetto Croce». Se può passare che un professore universitario possa correggere un professore di liceo, pure molto bravo come io ritengo tuttora quel mio primo insegnante liceale di storia e filosofia, pare arduo dirimere la divergenza quando dall'altra parte si trova un autore sommo come Carl Schmitt. Di Benedetto Croce non sono mai riuscito a diventare un entusiasta estimatore, anche se mi sono affaticato su non pochi suoi libri.

Tutto è interpretazione e direi che si possa conciliare anche l'apparente divergenza fra opinioni contrastanti. E come? A me sembra indubitabile che l'interprete non si trovi egli stesso fuori del tempo e dello spazio o più precisamente immerso in un determinato contesto culturale, linguistico, religioso, sociale, politico. E come non esserne influenzato? Intanto, se scrivo di storia, scrivo in una lingua determinata. La conoscenza di una lingua piuttosto di un'altra condiziona non poco nell'uso delle fonti. E simili. Ma tolto ciò non si può e non si deve ammettere che l'inevitabile ed anche lecitamente ammissibile condizionamento del presente debba significare una deliberata e cosciente falsificazione del passato calando in esso tesi preconcette del presente. Per cui se il presente è improntato al razzismo tutta la storia passata deve diventare una storia della razza, se è invece si tratta di un presente antinazista fondato sulla resistenza e sulle ideologie di comodo del secondo dopoguerra la stessa storia deve essere in modo compatibile con i governi in carica.

Ritengo che il giusto metodo sia quello di indagare il passato, facendo tutto il possibile per liberarsi dai pregiudizi del presente ed accettando perfino di essere corretti dalle cose passate nel giudizio del presente. Il passato può dunque diventare una confutazione e sconfessione del presente. La sua conoscenza può esserci di aiuto per venir fuori da situazioni concettuali assurde che i mezzi di condizionamento mentale di cui dispongono i governi possono farci apparire come plaubisibili. Del resto sarebbe inutile lo studio del passato se tutto ciò che possiamo scoprire in esso è già contenuto nel presente. Gli uomini di ogni generazione hanno i loro segreti che spesso muoiono insieme con chi li custodisce gelosamente. Questi segreti a volte (non sempre) vengono fuori in modo imprevisto e casuale. I posteri possono venire a sapere cose che i contemporanei non conoscevano. Insomma penso che a ben interpretare il problema avessero ragione tutti quanti: il professore di liceo, il professore universitario e Carl Schmitt che cita Hegel e Croce. Tutto sta a non venir meno all'onestà scientifica e al rispetto una Verità che è certamente pluralitas ma è anche troppo spesso retoricamente e dogmaticamente invocata.

Del resto, lo stesso Schmitt distingue per le epoche passate differenti ambiti concettuali che costituivano il modo di pensare delle generazioni dell'epoca e quindi il modo in cui essi si formavano i giudizi anche rispetto all'interpretazione del passato, a ciò che per loro aveva importanza o non ne aveva affatto. Ammette Schmitt implicitamente che nel ricostruire noi il passato dobbiamo anche cercare di entrare nella testa della gente del passato. Nella Teologia Politica IIª egli rileva come in epoca bizantina si verificassero addirittura moti di piazza per questioni oggi per noi astrusamente teologiche. Eppure allora ci scappava il morto. Se tuttavia noi abbiamo interesse a capire quegli eventi passati l'interesse è di oggi ma la chiave di lettura occorre trovarla nel passato stesso. La porta può essere aperta solo con la chiave che gli è propria. La si può anche sfondare, ma non è la stessa cosa che aprirla. Possiamo distinguere uno storico buono da quello cattivo a seconda che faccia uso della giusta chiave di lettura del passato o che lo violenti sfondando la porta del tempo.

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