venerdì, dicembre 25, 2009

Note su George L. Mosse ed Ernst Nolte: l’interpretazione generale della storia del Novecento.


George L. Mosse (1918-1999) è uno di quei nomi speciali che vanno per la maggiore quando si cercano autori che ci aiutino a capire il nostro recente e meno recente passato storico, forse meglio ancora il nostro presente, se si considerano tutte le categorie concettuali che hanno assunto ormai la forza del dogma, alla quale non ci si può sottrarre se non con gravi rischi. Non è possibile leggere tutti i libri e tutti gli autori, ma è possibile cogliere le linee guida con le quali si interpreta un’epoca. Mosse è certamente un autore impegnativo con il quale occorre fare i conti. Nell’interpretazione del nazismo, se non erro, il suo nome è contrapposto a quello di Nolte, il quale per sommi capi interpreta il nazismo come un fenomeno reattivo a determinate situazioni senza le quali non sarebbe concepibile. Per Mosse sembra che le spiegazioni debbano cercarsi in insonsabili fattori psicologico-culturale. Diamo qui inizio a semplici appunti di lettura, che essendo pubbliche spero non mi procurino ulteriori fastidi da parti di intrusi ai quali non sono destinate queste semplici note di lettura ed appunti provvisori. Infatti, proseguendo nella lettura sequenziale del testo si perdono tutti quegli spunti, intuizioni, reazioni, che non vengono subito trascritte. Avverto quindi l’occasionale lettore che si tratti di spunti e riflessioni, non di tesi conclusive. Niente esclude che i punti di vista via via espressi possono essere superati e modificati.

Sommario: 1. Impressioni tratte dalle prime pagine. –

1. Impressioni tratte dalle prime pagine. – Un senso di fastidio mi assale fin dall’Introduzione a “Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto”. La sensazione è che Mosse stesso di ideologismi ne abbia lui più di quanto non ne imputa ad altri. Quanto poi al razzismo direi che forse oggi sia non meno prospero e vitale che non in passato. Il sospetto – tutto da verificare – è che Mosse abbia voluto scrivere nell’interesse e per conto dei vincitori che in fatto di discriminazione e persecuzioni nonchè genocidio ne sapevano e ne sanno più dei vinti. Se si prende la storia del XIX e l’epoca coloniale durante la quale gli stati coloniali europei erano arrivati, nel 1914, ad esercitare il loro dominio diretto sull’85 per cento delle terre emerse, si vede che il razzismo era assolutamente il modo orrdinario di operare e di pensare non solo da parte dei politici, ma di quanti facevano cultura, anche ai più alti livelli: il pensiero europeo, occidentale, è stato ed è ancora in buona parte intimamente razzista. Forse in questo senso il suo prodotto più avanzato è il sionismo. Naturalmente, non si accetta questa eredità. Ma come si pensa di eliminarla e di allontanarsene? Anche qui cercando un capro espiatorio su cui caricare tutte le colpe ed uscirne così immacolati ed a salvamento. Il colpevole è bell’e pronto servito sulla graticolo: la Germania nazista nei suoi brevi 12 anni a fronte dei secoli razzisti di tutti gli altri suoi accusatori. È un colpevole perfetto perché non può avere neppure un difensore d’ufficio: chi ci azzardasse verrebbe messo pure lui in cella o alla gogna. E non per metafora!

Ecco dunque l’importanza della libertà di pensiero per chi avverte il bisogno di pensare e ripensare il passato storico. Per essere più chiari e suscitare forse meno sospetti ci si può spostare all’epoca di Nerone, la cui immagine è diventato il prototito di ogni nefandezza su cui possono tranquillamente farsi esercitazioni scolastiche. Senza voler discolpare l’imperatore dalle sue colpe – e perché dovrebbe essere questo il compito di uno storico? – alcuni studiosi hanno incominicato a considerare con più serenità quel lontano periodo. Noi non possiamo fare altrettanto per il nostro recente e meno recente passato. È emblematico il caso di Ernst Nolte non già contestato, ma violentemente attaccato in Trieste. Ed allora ecco che a parlare sono soltanto i Mosse. Uno storico che vuol far carriera ed aver successo deve per prima cosa capire come gira il vento e gli umori. Quindi, con l’apparenza della forma scientifica e con tutti apparati formali che fanno un libro, si producono in abbondanza quei testi che la classe politica vuole avere. Quando si dice che i vincitori scrivono la storia è quel che qui si intende: un’ampia produzione di regime che diventà perfino verità di stato imposta per legge.

(segue)


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