mercoledì, gennaio 08, 2020

ob§4

B. Home. §§ 0. ↔ 1.
GLI OCCHI BENDATI SUL GOLFO (1991).
Introduzione.
1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.

Bottom. Top.

ob§3

B. Home. §§ 0. ↔ 1.
GLI OCCHI BENDATI SUL GOLFO (1991).
Introduzione.
1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.

Bottom. Top.

ob§2

B. Home. §§ 0. ↔ 1.
GLI OCCHI BENDATI SUL GOLFO (1991).
Introduzione.
1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.

Bottom. Top.

§ 1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.

B. Home. §§ 0. ↔ 1.
GLI OCCHI BENDATI SUL GOLFO (1991).
Introduzione.
1. Dalla Mauritania all'Afghanistan: un «quadro» piuttosto inquietante.

Fred Oberson:
- Sono più di vent'anni, Alberto Mariantoni, che Lei percorre il Medioriente, la zona del Golfo ed i paesi del nord Africa. Se dovesse riassumere in qualche parola questa regione, come la dipingerebbe? 

Alberto Mariantoni:
- Molto pessimisticamente. Dalla Mauritania all’Afghanistan, infatti, il «quadro» è piuttosto deludente ed inquietante. Si tratta di una regione dove, da più di quarant’anni, regna l’arbitrio e l’ingiustizia, e nella quale i diritti più elementari dell’uomo sono sistematicamente scherniti e calpestati. Una regione dove la minaccia di guerra è costante e latente, e dove il pericolo di scontri politici e sociali è all'ordine del giorno. 

Per meglio rendersene conto, però, è necessario fare una rapida e succinta carrellata sui diversi paesi di questa regione. 

La Mauritania è governata da una dittatura militare. Le lascio immaginare il «clima» nel quale vivono gli abitanti di questo paese… tanto sul piano delle libertà civili che su quello della vita di tutti i giorni. L’economia è moribonda. La tratta degli schiavi è tutt’ora praticata nelle regioni più interne del paese, nonostante l’interdizione ufficiale del governo. Senza contare la guerra che potrebbe scoppiare da un momento all'altro con il vicino Senegal.

Hassan II (1929-1999).
Nel Marocco, il nostro «amico» Hassan II è sempre contornato dalla stessa oligarchia
feudo-finanziaria. La metà del territorio marocchino è praticamente proprietà privata di una sola persona: Sua Maestà il Re. La pretesa libertà di stampa e d’opinione, così come il multipartitismo, sono «marcati» a vista dalla polizia del regime. La guerra contro il popolo Sahraui ha svuotato le casse dello Stato senza risolvere il conflitto. La gioventù è frustrata e delusa, «scalpita» per mancanza di sbocchi concreti all’interno della società e le sue rivolte sono sistematicamente represse nel sangue. L’economia agonizza. E questo nonostante le entrate in monete forti provenienti dall'emigrazione e dal turismo.

Dopo ventisei anni di potere assoluto in Algeria, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) è in piena crisi. Dal 1988 non fa che subire il rigetto politico, economico e sociale della maggioranza della popolazione. Per evitare al paese una rivoluzione islamica degli adepti del FIS (Fronte islamico della salvezza), il Presidente Chadli Bedjedid ha autorizzato il multipartitismo ed il ritorno in Algeria di alcuni leaders storici, fin lì in esilio, come Ait Ahmed ed Ahmed Ben Bella. Più di quaranta partiti recentemente organizzati si contendono ormai le spoglie dell'ex granaio della Francia coloniale. I militari, restati fedeli al ricordo del regime di Boumedienne, potrebbero essere tentati - dopo la proclamazione della legge marziale (revocata poi il 29 settembre 1991) e l'arresto dei principali leaders del FIS, rispettivamente nel giugno e nel luglio 1991 - di «mettere d'accordo» tutta questa gente, fomentando, magari, un colpo di Stato.

Nonostante l'eliminazione politica del «Combattente supremo» (l'anziano Habib Burguiba) nel 1987, la Tunisia ed il regime del Presidente Ben Ali continuano a degenerare. Eppure una promessa di liberalismo politico, mai mantenuta, aveva fatto posto alle «tempeste di sabbia» generate da Burguiba negli ultimi anni del suo «regno». Poi, quasi immediatamente, Ben Ali si è ricordato che era stato allievo della scuola militare francese di Saint Cyr, che era stato responsabile della polizia tunisina e ministro degli Interni. li suo regime si è quindi strutturato sull'immagine di un sistema poliziesco ed inquisitore. Inutile meravigliarsi dell'assenza di libertà di stampa e d'opinione, nonché della mancanza di elementari garanzie legali e costituzionali. La società tunisina è in effervescenza: i conflitti sociali aumentano d'intensità, la repressione s'intensifica e le prigioni sono piene. In clandestinità, i fondamentalisti del gruppo Anhada spiano qualsiasi occasione per prendere il potere. L'esplosione generale può prodursi in qualsiasi momento, senza preavviso.

Ufficialmente libera ed ammmistrata dalla Glamahiriya (un sistema di democrazia diretta), la Libia è governata da una dittatura politico-militare uscita dal colpo di Stato dello settembre 1969. Dopo un breve e florido periodo, l'economia libica è divenuta inevitabilmente dipendente dall'iniziativa pubblica e dalla sola risorsa energetica del paese, il petrolio. Tra tutti i paesi del Maghreb, la Libia è la più prospera, ma l'uomo della strada non sembra affatto trarre profitto dalla ricchezza del paese. La libertà d'opinione non esiste che per coloro che appoggiano il regime gheddafiano. Per gli altri, è la repressione. Il sospetto e la paura regnano a tutti i livelli. Gli interessi privati di certi dirigenti si frammischiano senza vergogna con quelli dello Stato. li clientelismo e la corruzione imperano. L'imitazione pedissequa e l'omertà sono di rigore. La violenza gratuita e l'arbitrario sono una costante. Tutto ciò, naturalmente, all'insaputa del «Leader» della rivoluzione che vive trincerato nella regione della Sirte, tra i ghedafeda, i membri della sua tribù natale. Ufficialmente Gheddafi dice. di essere un vero nazionalista arabo, al di sopra della «mischia» e molto attaccato all'indipendenza ed al benessere del suo popolo. In realtà, non è che un «neuropatico depressivo», per giunta manipolato, nel corso degli ultimi anni, da una banda d'affaristi senza scrupoli appartenenti alla sua stessa famiglia o al suo seguito.

In Egitto, le cose non vanno affatto meglio. E questo nonostante l'immagine di marca apparentemente bonaria ed il suo allineamento sulla politica occidentale in occasione del conflitto del Golfo. li regime egiziano resta una dittatura politico-militare sostenuta e manipolata da un «iceberg» d'affaristi e di speculatori autoctoni legati alla finanza internazionale ed alla politica di Washington. L'uomo di paglia dell'Egitto, il Presidente Mubarak, è soprannominato «la vache qui rit»… Per quest'ex generale d'aviazione non è affatto una disquisizione accademica dire che «vola» molto, molto basso!

Il potere, in Egitto, è monopolizzato dal NPD, il Partito nazionale democratico, che ha ridotto il Parlamento al ruolo di semplice comparsa. Dieci anni dopo l'assassinio di Sadat nel 1981, le «leggi speciali» decretate all'epoca sono state prorogate «sine die» il 18 maggio 1991... Questa eccezionalità della legislazione permette al Rais egiziano di far arrestare i «pericolosi rivoluzionari» ed i «terroristi islamici». In realtà, la maggior parte di questi prigionieri non sono che dei semplici cittadini, esasperati e scontenti del regime. L'amico americano, il Presidente George Bush, ha dato una boccata d'ossigeno al suo omologo egiziano, annullando i debiti militari del paese che erano calcolati in miliardi di dollari, per «servizio reso», in concomitanza con la guerra del Golfo! Quest'intervento finanziario non è che un momentaneo palliativo all'inevitabile disastro economico che grava sul paese, ma permette a Mubarak di evitare la rivolta popolare che potrebbe prodursi in Egitto come nel 1977.

Il centro-nord del Sudan, a maggioranza musulmana, è controllato da una giunta militare. Il sud, cristiano-animista, è in piena rivolta. Alla guerra civile che continua ad insanguinare il paese dall'epoca di Nimeiry, s'aggiungono la malnutrizione dovuta al sottosviluppo ed all'arretratezza agricola ed industriale, e le epidemie per mancanza d'infrastrutture sanitarie. Questo paese è uno dei più disastrati della Terra, sia sul piano materiale che morale.

Saremmo tentati di credere che il solo paese «occidentale» della regione che stia sotto una buona «stella» sia Israele. Tuttavia, dall'epoca della sua fondazione nel 1948, lo Stato ebraico vive in una situazione di guerra permanente con i suoi vicini arabi. Il «clima» sviluppatosi con l'Intifada nei Territori occupati rende la situazione più esplosiva che mai dal 1987. La reazione dei Palestinesi si spiega attraverso i soprusi - vessazioni, espulsioni, arresti, confisca delle terre, distruzioni d'abitazioni e massacri d'ogni genere - che quest'ultimi hanno subito in Cisgiordania e Gaza, nel Golan ed a Gerusalemme-est, nel corso degli ultimi ventiquattro anni.

All'interno dello Stato propriamente detto - ufficialmente democratico - il sistema politico israeliano è apertamente discriminante. Pratica una distinzione sistematica tra i cittadini nazionali ebrei ed i cittadini arabi autoctoni (con passaporto israeliano) o installati nel paese prima della guerra dei Sei giorni nel 1967 (16% della popolazione). La discriminazione è esercitata a tutti i livelli: politico, religioso, amministrativo, finanziario, sociale, educativo, culturale. Per non citare che un esempio, il 92% delle terre del paese appartengono allo Stato che le affitta esclusivamente ai soli israeliani di religione ebraica. il rifiuto sistematico dei dirigenti israeliani di partecipare ad una Conferenza di pace con i Palestinesi, dimostra chiaramente che il clima di guerra perdurerà ancora per molto tempo in questa regione.

Analizziamo il Libano dopo quindici anni di guerra «civile»: centomila morti, trecentomila feriti, un milione di sfollati, due milioni di esiliati, cinquanta miliardi di dollari di distruzioni. Oggi, il Libano ha ufficialmente ritrovato la «pace», mi correggo, «la pax siriana»! Quarantamila soldati siriani continuano ad occupare 1'85% del territorio libanese, mentre il restante 15% è sempre controllato dagli israeliani e dai loro alleati libanesi del sud del paese. I «mukabarat» (agenti della polizia politica e dei servizi segreti) di Damasco sono presenti dappertutto: persino negli uffici e negli appartamenti privati del «Presidente» libanese Elias Hraui e dei membri del «governo» del primo ministro Omar Karamé. Il governo fantoccio di Beirut obbedisce a bacchetta al Presidente siriano Hafez al-Assad, con la benedizione del re Fahd d’Arabia Saudita e dei suoi amici della Lega Araba. Il parlamento libanese è completamente illegale. È stato eletto nel1972 – dunque prima dll'inizio della guerra scoppiata nel 1975 – dal 12% della popolazione e continua, nonostante tutto, a rimanese in carica, usurpando sfacciatamente un mandato elettorale che avrebbe dovuto finire nel 1976! Dopo la morte o le dimissioni di 40 deputati, i parlamentari mancanti sono stati nominati d'ufficio da Damasco… Inutile sottolineare che la libertà di stampa e d'opinione, come il rispetto dei diritti dell'uomo, appartengono ormai ad un vago ricordo del passato. Dopo gli accordi di Taef nel 1989, l'eliminazione del generale Aoun nel 1990 e la firma dell'accordo siro-libanese del maggio 1991, il Libano ha perduto la sua libertà e la sua indipendenza, divenendo, così, un semplice protettorato siriano; con l'avallo, naturalmente, degli Stati Uniti e delle Potenze occidentali. A quando l'annessione pura e semplice dell'Ex Libano al «Bilad Esh-Sham‚, la Grande Siria?

In Siria, la setta religiosa dei «Nusayris» o «Alauiti» rappresenta meno del 12% della popolazione, ma questo non impedisce affatto ai suoi adepti di monopolizzare la totalità del potere di questo paese. A sua volta, questa setta è manipolata dalla «mafia» familiare del Presidente Hafez el-Assad, divenuto «maestro» nell'arte di opprimere i suoi concittadini attraverso gli arresti indiscriminati, le torture, le esecuzioni sommarie o la sparizione pura e semplice. La Siria non è altro che un gigantesco campo di concentramento, dove la libertà, la democrazia e la giustizia sono state definitivamente bandite dal yocabolario comune.

E una specie di universo orwelliano dove ognuno spia e sospetta chiunque ma questo, naturalmente, non sembra affatto urtare la «sensibilità» morale dell'Amministrazione americana che, in questo momento (come già avvenuto in passato con il regime di Saddam), giudica questo regime estremamente valido ed indispensabile alla strategia statunitense nella regione mediorientale.

Prima dell'ultimo conflitto del Golfo, la Siria non era altro che la copia conforme del suo vicino, l’Iraq. Quest'ultimo, in più, conosce, oggi, le terribili conseguenze del dopoguerra: circa 150.000 morti, distruzioni incalcolabili, due milioni di Curdi rifugiati nei «no men's land» garantiti dall'ONU, migliaia di sciiti irakeni massacrati dalla repressione brutale dell'esercito di Bagdad o in fuga verso il vicino Iran. E malgrado ciò, Saddam Hussein ed il «clan» degli al-Takriti sono sempre al potere.

In Arabia Saudita e nell'insieme delle petromonarchie del Golfo, il potere è sempre tenuto da un pugno di privilegiati che scambiano sistematicamente le casse dei loro Stati per un portafoglio personale. In questi Stati, amministrati da subdole e feroci dittature, a torto ritenute di «diritto divino», i re, gli emiri, gli sceicchi, nonché le loro famiglie, hanno tutti i diritti: compreso quello di vita e di morte sui loro sudditi; il resto della popolazione, nessun diritto. Senza contare lo stato di semi-schiavitù nel quale vivono i lavoratori stranieri…

La Giordania, popolata per oltre il 60% da Palestinesi, sta scivolando verso 1'integralismo islamico. L'economia è in pieno sfacelo. La famiglia regnante (Hashemita) teme più che mai che la soluzione del problema palestinese passi attraverso la creazione di uno Stato sul suo territorio.

I due Yemen, recentemente unificati, sono alla mercè dei gruppi fondamentalisti ed islamisti («islamista» = colui cioè che utilizza l’Islam esclusivamente come un’ideologia politico-religiosa e rivoluzionaria per laconquista del potere; da non confondere con «islamologo» = colui cioeè che studia e approfodisce i problemi di questa religione). Folle ogni giorno più numerose reclamano l'applicazione della Sharia (la legislazione musulmana) ed il recupero politico di tre province del nord del paese, annesse militarmente dall'Arania Saudita negli anni ’30.

 L’Iran di Rafsandjani (il nuovo «Shah») vive in piena dittatura politica. Le promesse della rivoluzione del 1979 non sono più che un ricordo. Il clientelismo del potere favorisce una minoranza di privilegiati, a discapito delle masse sempre più numerose di «mustazafin» (diseredati). I vecchi metodi repressivi, già utilizzati dalla famigerata Savak dell’epoca dello Shah, sono ritornati di moda; e 1'integralismo religioso (da non confondere con 1'islamismo rivoluzionario predicato da Khomeini) adottato dagli attuali responsabili del regime di Teheran, sembra non avere più nulla da invidiare all'arretratezza culturale e politica del wahhabismo saudita.

All’estremo limite di questa regione, infine, resta l’Afghanistan. Dimenticato dall’opinione pubblica e «messo in soffitta» dai governi dei paesi occidentali, questo paese continua ad essere martoriato dalla guerra civile. I sovietici hanno lasciato ufficialmente Kabul, ma il loro «supervisore» personale, l'attuale Presidente comunista Nagibullah, resta più che mai al potere. I milioni di rifugiati afghani dovranno ancora attendere, prima di poter rientrare nel loro paese.

A.B. Mariantoni, F. Oberson: Gli occhi bendati sul Golfo (1991). Homepage.

Bottom. ↓  → § 1.
1ª guerra del Golfo: 1979-80, è stata quella fra Iraq e Iran: fomentata dagli Usa e da israele, che avevano interesse a che Iran e Iraq si distruggessero reciprocamente.
2ª guerra del golfo: 1991: contro Saddam Hussein che aveva bisogno dei pozzi petrolifer del Kuwait per rifarsi dal fortissimo indebitamente al quale gli Usrael lo avevano spinto.
3ª guerra del Golfo quella condotta dagli Americano contro Saddam Hussein, accusato falsamente di avere armi di sterminio di massa.
4ª guerra del Golfo quella che ha inizio oggi, e che noi iniziamo a narrare.

Per la Seconda Guerra del Golfo ripubblico con il consenso (a me espresso in vita) del mio compianto amico Alberto B. Mariantoni un libro che lui scrisse allora, insieme con altro autore, F. Oberson, vivente in Svizzera che mi ha dato pure lui il consenso per poterlo fare. All’editore Jaca Book ho scritto per una liberatoria, ma non ha risposto. Non traggo lucro dall’operazionem ed eventualmente cancellerò i post se mi verrà richiesto. Il libro ”Occhi bendati sul Golfo” verrà diviso in capitoli e paragrafi, e di ognuno di essi verrà fatto un piccolo post su uno dei miei numerosi blog: Spigolature storiche e letterario, che verrà aggiornando per l’occasione. Il testo originale potrà essere integrato con annotazioni e aggiornamento attinte dalla Rete stessa, ormai divenuta una Enciclopedia Universale.

INDICE

§ 0. Premessa. Lo scopo dell'opera.

INTRDODUZIONE
Bottom. Top.↑

domenica, luglio 22, 2018

Compositori del Rinascimento: 1. Giulio Caccini (1551-1618).

Home. |
Wikipedia. - Treccani.
Nasce a Tivoli nel 1551 e muore a Firenze nel 1610. È stato compositore, arpista e cantore. In gioventù fu membro della Cappella Giulia a Roma.  Studio canto e liuto con Scipione della Palla. Viaggiò a lungo fra Roma, Ferrara e Parigi. Trasferitosi a Firenze, fece parte della Camerata de' Bardi, l'Accademia che sul finire del XVI secolo stava gettando le basi del moderno melodramma, che egli teorizzò ne Le nuove musiche. Cercò di liberare la melodia dalle catene del metro poetico, con l'intento di farle seguire maggiormente le parole ed i moti del sentimento; oltre a questo, si mise in luce come disciplinatore del nuovo modo di cantare. «Dei primi anni del suo soggiorno fiorentino non conosciamo quasi nulla. Da testimonianze posteriori si arguisce che, favorito dalla sua abilità di cantante, venne ben presto accolto nei circoli artistici più qualificati di Firenze, ove lo spingevano il suo spirito di intraprendenza, la naturale sete di progredire nell'arte musicale e una non trascurabile ambizione, che suscitò intorno a lui gelosie e rivalità, da cui non andarono immuni, del resto, gli altri artisti della corte medicea. Era un momento particolare della storia civile di Firenze, quando, sulla scia del fervore umanistico per l'arte classica, si interrogavano le opere teorico-musicali di Aristotele, di Aristosseno e di Claudio Tolomeo. La musica greca infatti fu uno degli argomenti più dibattuti nelle riunioni della camerata fiorentina (nota anche come camerata de' Bardi perché dal 1576 al 1582 ebbero luogo nel palazzo di Giovanni Maria de' Bardi, conte di Vernio, mecenate dalla vasta cultura umanistica, poeta e compositore di musica).»

Links musicali:
1. Giulio Caccini: Nuove Musiche.
2.
3.

lunedì, maggio 21, 2018

Scrittori italiani online: 2. Enrico Corradini (1865-1931), Il nazionalismo italiano. § 1:

B. Home. ↔︎ §2.
Testo online.
ENRICO CORRADINI
Il nazionalismo italiano.
Terzo Migliaio.
Milano, Fratelli Treves, editori, 1914.

francesi - inglesi - tedeschi - spagnoli
Internet Archive: Enrico Corradini. (448)








§ 1.

Prefazione.


E. Corradini (1865-1931)
Una parte di questo volume comprende alcune pagine già pubblicate altrove, e le ho raccolte un po’ per l’istinto che ci spinge a voltarci indietro quando si è giunti a un certo punto del cammino.

Sono cose che precedettero il congresso di Firenze del Dicembre 1910 da cui uscì l’Associazione Nazionalista. Si riconnettono con l’opera di propaganda individuale che incominciai con alcuni amici miei, primo Pier Ludovico Occhini, sin dal 1903 con la fondazione del Regno.

Il resto del volume è formato per la massima parte di discorsi letti per le varie città durante quest’anno. Ed è un nuovo contributo all’opera di revisione di tutto un passato e di formazione di tutto un avvenire che il nazionalismo va assiduamente facendo nella politica italiana.

Con umile volto l’offro soprattutto a coloro i quali continuano a ripetere che ancora non capiscono, non vedono in che cosa il nazionalismo consista, che cosa precisamente sia. Sono una gran turba d’italiani i quali concepiscono il nazionalismo come qualche cosa che stia in un cantuccio. Basterebbe darsi la pena di cercarlo e si troverebbe, ma essi non si danno la pena e perciò non lo trovano, e quindi continuano a ripetere che non sanno che sia.

In verità nulla m’impensierisce di più di questa incapacità di fare attenzione che si ritrova in tanta parte del pubblico italiano. Pronti a parlare, e soprattutto a giudicare, restii a capire. I lettori conoscono la frase italiana detta con certa aria: — Non capisco questa cosa! — Chi la ripete vuol dire che insomma gli pare che la cosa non stia. E così da anni mi sento ripetere: — Non capisco il nazionalismo! — E m’accorgo che ben pochi davvero sospettano di non capirlo, perchè non riescono a capirlo, o perchè non si danno la pena di capirlo. È pur legge comune che l’uomo non sospetta mai della propria intelligenza, ma sempre della cosa che dovrebbe intendere; però, tal legge si applica al nazionalismo in modo che ormai passa tutti i limiti.

Per noi tale incapacità di attenzione seria e di riflessione seria nelle nostre classi maggiori è ancora un persistere di quella debilitazione etnica che patimmo nei lunghi secoli del servaggio e dell’inerzia. Fatto sta che il nazionalismo è obbligato a questo: non soltanto a elaborare ed esporre la sua propria dottrina, ma anche a formare il mezzo pubblico atto ad accoglierla. Perciò procede nella prima operazione piuttosto lento e alquanto cauto. Noi abbiamo soprattutto bisogno di questo: che la media opinione pubblica liberale si renda esatto conto che c’è una certa differenza fra il liberalismo e noi, non soltanto negli atteggiamenti bellici elettorati, ma più nella parola scritta e più ancora nel sentimento non scritto. Noi non vorremmo essere per loro la musica dell’avvenire, il che talvolta suppongono; vorremmo essere soltanto una musica alquanto diversa, il che quasi mai sono proclivi a supporre.

Comunque, ci spronano le giovani generazionche sono interamente con noi e per noi, che c’intendono d’istinto, la qual cosa è assai di più dell’intelligenza.

Per esse gli uomini del nazionalismo italiano proseguono l’opera loro. Della quale l’importanza apparirà un giorno. Apparirà insomma di che cosa si tratta. Si tratta di espellere d’Italia le sopravvivenze di due rivoluzioni straniere, della rivoluzione borghese gallica e della rivoluzione socialista tedesca; e di aprir la strada a una formazione italiana politica, morale, spirituale. Cioè, porre nel nostro terreno i germi nostri di una futura civiltà nostra che prenda il cammino del mondo.

Firenze, Marzo 1914.

Enrico Corradini.


Top.