giovedì, aprile 12, 2018

§ iii. Introduzione: R. Fornaciari: Grammatica storica della lingua italiana.

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Testo online.
GRAMMATICA STORICA
DELLA LINGUA ITALIANA
Estratta e compendiata
dalla Grammatica Romana di Federico Diez
per opera di
Raffaello Fornaciari
Parte Prima
Morfologia
Roma - Torino - Firenze
Ermanno Loescher
1872


 § ii. ← § iii. → iv.

INTRODUZIONE

Sommario: §§ 1. L’italiano come lingua derivata. – 2. Commistione del linguaggio dei popoli vincitori con quello dei popoli vinti. –


§ 1. L’italiano come lingua derivata. — La lingua italiana non è originale come la greca e la tedesca, ma proviene dalla lingua latina; onde appartiene alle lingue derivate. Quando i Romani estesero la loro signoria sulle terre conquistate in Italia e fuori, vi portarono anche la natia lingua, la quale negli ultimi secoli dell’impero occidentale si trovava stabilita non pure in tutta Italia, ma ancora nella penisola de’ Pirenei, nella Gallia e nei paesi del Danubio da Traiano sottomessi e popolati di colonie. Questa lingua però non era il latino quale è scritto in Cicerone o in Tacito, ma quale lo parlava il popolo (lingua rustica), cioè un volgare, che secondo i bisogni e le occasioni si andò ampliando sempre più e allontanandosi dalla lingua scritta usata dai signori e dai letterati, quanto più quella lingua perdea vita e mobilità.

Nota. — Fra i tanti vocaboli che appartengono a questa lingua del popolo, rechiamo per esempio: bucca (bocca) per os, caballus (cavallo) per equus, casa (capanna, casa) per domus, catus (gatto) per felis, bassus (basso) per humilis, grossus (grosso) per crassus, batuere (battere) per verberare, campsare (cansare) per vitare, manducare (mangiare) per edere, i quali e simili vocaboli si leggono per lo più o negli antichissimi scrittori latini, quando la lingua non era anche stata coltivata, o ne’ grammatici ultimi che cercavano, additando le forme popolari, di conservarne la purità.

§ 2. Commistione del linguaggio dei popoli vincitori con quello dei popoli vinti. —  Quando poi nel quarto e quinto secolo dopo Cristo, i Germani, passato il Danubio, le Alpi e il Reno, ebbero invaso l’impero romano, essi, quantunque vincitori, presero bensì la lingua dei loro soggetti che erano assai più civili e colti e in troppo maggior numero; ma ciò non ostante una parte dei vocaboli tedeschi entrò nelle nuove favelle.

Nota. — Tali sono, per esempio, non pochi vocaboli che si riferiscono a cose civili e guerresche o ad altri usi dei vincitori: p. e. alabarda, albergo, nappo, araldo, bandire, bargello, bianco, bordo, bracco, brando, dardo, elmo, forbire, fresco, gabella, gaio, guerra, rocca, schermo, schiavo, stocco, tovaglia, ecc.

§ 3. Secondo l'uso già invalso presso i latini, questi tedeschi
invasori eran chiamati barbari^ e barbara la lor lingua. Essi al
contrario diceano gli abitanti dell'impero romani^ onde alle
nuove lingue che si formarono fra questi ultimi, restò il nome
di lingue romane. Sei sono le lingue romane più coltivate, e
che hanno una propria letteratura, la valacca nella Vallachia
(l'antica Dacia), l'italiana in Italia, la provenzale nel mezzo-
giorno della Francia ( Provenza ) lingua che ora nelle scritture
non si usa più, la francese in tutta la Francia, la spagnuola
e la portoghese nella Spagna e nel Portogallo.

§ 4. Queste lingue romane si considerano quindi come so-
relle, poiché tutte risultano per la massima parte dal latino e
in parte ancora dal tedesco. Ciò però non toglie che non vi
sieno entrate ancora molte voci greche, e non poche altresì
delle arabiche venute in Ispagna per l'invasione degli Arabi,
e di là passate poi nelle vicine nazioni.

Nota. — Di forme greche basti citare abisso, agognare,
accidia, atomo, bastone, borsa, ermo, zìo,
colla, golfo ^ estro, parola, tapino ecc. Di arabi-
che albicocco, alchimia, alcool, alcova, alge-
bra, assassino, canfora, turcimanno, giulebbe,
lambicco, tariffa, turcasso ecc.

§ 5. La lingua italiana è la più pura tra le lingue romane,
e può dirsi a buona ragione, la figlia più somigliante alla
madre. Valutando le voci che essa contiene, si trova a un di-
presso che nove decimi sono d'origine latina, dell'altro decimo
le più appartengono alla lingua degli antichi Germani, poi






alla greca ed all'araba, alcune al persiano, al celtico, allo slavo;
altre sono di origine ancora incerta ed oscura, e risalgono forse
airantiche favelle italiche, come Tetrusca, la ligure, l'osca.
Tumbra ecc. Di quelle voci finalmente che possono esservi pe-
netrate per le invasioni e gli stabilimenti dei Normanni e
Francesi nella Sicilia e in Napoli, dei Catalani nella Sardegna,
dei Provenzali nell'Italia settentrionale, non è da tener conto,
perchè tutti questi popoli, come si rileva da quanto dicemmo
sopra, ebbero un fondo di lingua comune colla italiana. *

§ 6. — La lingua italiana si estende in tutta la penisola detta
italica ed inoltre nel cantone del Ticino e in una parte del
Tirolo e deiriUiria. Si distingue in parlata e scritta. La par-
lata si divide in molti dialetti, i quali si possono annoverare
distinguendo tre provinole di lingue, una dell'Italia inferiore,
una della media, una della superiore. Appartengono alla infe-
riore il dialetto napoletano, il calabrese, il siciliano, ai quali
bisogna aggiungere i dialetti della Sardegna. All'Italia media
appartengono i dialetti toscani, p. e. quelli di Firenze, Pistoia,
Siena, Pisa, Lucca, Arezzo, e i dialetti romani. Aggiungi la
Corsica e una parte della Sardegna. All'Italia superiore appar-
tengono il genovese, il gallo italico (che comprende i dialetti
della Lombardia e dell'Emilia, e il piemontese), il veneziano e
il friulano. La principal differenza tra i dialetti inferiori e i
dialetti superiori sta in questo, che i primi fognano le conso-
nanti, i secondi le vocali prive d'accento, quelli son più molli,
questi sono più aspri, conforme al diverso clima e sito del luogo
dove si parlano.

§ 7. — La lingua italiana scritta, e usata nell'opere letterarie
per tutta la penisola, non è altro in origine che la lingua di
Firenze o piuttosto della Toscana, nobilitata e corretta, col-
l'aiuto del latino, dai tre grandi fiorentini Dante, Petrarca e
Boccaccio. Fu poi trattata ed ampliata da scrittori eccellenti
d'ogni parte d'Italia, ma tenne sempre per suo fonte la Toscana,
e per secol d'oro il secolo di quei tre. Si cominciò a regolarla
colla grammatica nella prima metà del secolo XVI, e si pub-



* Vedi il Nannucoi, Voci italiane derivate dalla lingua proven-
jsale^ Firenze 1840.



blicò il primo suo vocabolario generale nel 1612 dall'Accade-
mia fiorentina della Crusca.

§ 8. — Essendo dunque la lingua italiana derivata dalla la-
tina, ne segue che non solamente quasi tutti i vocaboli di cui
si compone sieno latini, ma ancora che la flessione loro e la
loro costruzione abbiano per norma la grammatica latina. Quindi
chi voglia acquistare una cognizione profonda e ragionata della
lingua italiana, deve muovere dalle forme latine, come noi fa-
remo in questo lavoro.




§ ii - R. Fornaciari: Grammatica storica della lingua italiana. - Indice delle materia.

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GRAMMATICA STORICA
DELLA LINGUA ITALIANA
Estratta e compendiata
dalla Grammatica Romana di Federico Diez
per opera di
Raffaello Fornaciari
Parte Prima
Morfologia
Roma - Torino - Firenze
Ermanno Loescher
1872

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INDICE DELLE MATERIE




Prefazione.

Introduzione: §§ 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8. 

PARTE PRIMA. — MORFOLOGIA

Libro Primo — Dottrina dei suoni o trattato delle lettere.

Capo I. —  I suoni della lingua italiana disposti secondo gli organi della favella: § 9.

Capo II. — Modificazioni delle vocali — Vocali accentate: §§ 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20.
Capo III. — Vocali non accentate: §§ 21-42.

Capo IV. — Modificazioni delle consonanti: §§ 43-57.

»• V. — Appendice che contiene alcune generali os-
servazioni — a) Vocali .... » 27

b) Consonanti >* 29

Tavola dei suoni elementari colle loro più

comuni corrispondenze nelle voci italiane y* 34

Libro Secondo — Dottrina delle flessioni o
trattato delle parti del discorso.

Capo I. — Introduzione ...... » 35

II. — Della declinazione in generale . . ••36

.III. — Del sostantivo ...... »» 39

IV. — DelPAddiettivo « 43

Dei Numerali » 45

" V. — Del Pronome ...... «46

♦» VI. — Della coniugazione in generale . . ••50

A. Attivo ..,.,,. tt ivi

B. Flessioni personali .... » 53
C Flessioni temporali .... ••54
D, Passivo e Deponente .... •«SS



»•



8



Capo VII.

n Vili.

« IX.

» X.

« XI.

n XII.

• XIII.



Forme della coniugazione

Osservazioni particolari sulla coniuga-
zione di forma debole . . 9 .

Osservazioni particolari sulla coniuga-
zione di forma forte ....

I. Delle particelle

II. Avverbi
Preposizioni
Congiunzioni
Interiezioni



Pag, 56



59






65
70
61
79
81
82






Libro Terrò — Dottrina della formazione

delle,parole.



H II. —



M III.



Capo I. — Considerazioni generali sulla derivazione

Derivazione dei nomi . .

A. Derivati con pure vocali

B. Derivati con semplice consonante

C. Derivati con consonante doppia

D. Derivati con consonanti disuguali
Derivazione dei verbi — Considerazioni

generali . . . . .
a ) Derivati con semplice consonante
b) Derivati con consonante doppia
e) Derivati con più consonanti disuguali
Composizione delle parole
Composizione nominale
a ) La parola determinante è un sostantivo
h) La parola determinante è un addiettìvo
Composizione con particelle
Composizione di frasi . . . .

Ossei*vazioni generali sul significato dei

composti



n



IV.
V.



VI.

VII.

VII.



84
86
88

• •

IVI

100
101

105
106
108
109

■ •

IVI

110
111
112
113
118

119


§ 3. La situazione in Corsica.

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 ć ǝ ẹ ę ọ ← 2. → ŏ ō ē ĕ ū ŭ ĭ ī ā ă

La situazione in Corsica

Il sistema vocalico che abbiamo ora caratterizzato, sebbene si sia affermato in gran parte della Romània, non ha però preso piede dappertutto. Invero, in Romania si ha un uguale esito per ē ed ĭ (confusione in e: cfr. il romeno parete ← parēte e sete ← sĭte) ma ō si è svolta insieme con ŏ (soare ← sōle, roata ← rōta), non con ŭ (cruce ← crŭce). Parimenti la Sardegna non ha preso parte allo sviluppo del latino volgare. Qui la ē ha avuto lo stesso esito non di ĭ, ma di ĕ, e analogamente la ō non di ŭ, ma di ŏ; mentre ī  si è svolta confondendosi con ĭ e ū con ŭ: cfr. il sardo nive ← nĭve, kadęna ← catēna, fęle ← fĕl, ruke ← crŭce, sǫle ← sōle, rǫda ← rōta, filu ← filu, muru ← muru. Si è ritenuto per lungo tempo che questa conservazione delle differenze tra ĭ  ed ē,  ŭ ed ō fosse limitata soltanto alla Sardegna (e alla parte meridionale della Corsica, cfr. § 127); ma studi più recenti hanno mostrato che la separazione di entrambe le coppie di suoni e la coincidenza di ē  con ĕ,  ō con ŏ,  ī con ĭ, ū con ŭ  sussiste ancora oggi in una striscia quanto mai arcaica di territorio montano al confine della Calabria con la Lucania: si tratta di una zona che da Maratea nel golfo di Policastro si spinge fino al golfo di Taranto, da entrambe le parti del confine tra Calabria e Lucania, per Castrovillari e la valle del Sinni. Nella parte meridionale la zona in discorso arriva fino alla linea che congiunge all’incirca Diamante con Cassano, nel settentrione fino al fiume Agri. Prendendo come esempio per la Lucania le località di Maratea e San Chirico Raparo, per la Calabria Oriolo e Cerchiara, otterremo il seguente quadro fonetico:

La coincidenza di ē con ĕ, di ō con ŏ, fa sì che in seguito quelle che furono ē ed ō subiscano l’ulteriore destino di ĕ ed ŏ; così, per esempio, parole che un tempo avevano ē ed ō partecipano a quei medesimi processi di metafonia o di dittongazione sotto l’influsso di una -ŭ o di una -ī finali, che valgono per delle ĕ ed ŏ primarie: cfr. nel territorio calabrese della zona arcaica in discorso acietu ’aceto’, sievu ‘sego’, miecu ← mēcum, virnietu ‘ontaneto’ ← vernētum, vuliemu ← volēmus, avietsǝ ←  habētis, triei ← *trēi, fiemmǝna ← fèmina, cuttuóriu ← *coctōrium, scuópulu ← *scōpulu, -uosu (per esempio minnuluosu, garrijuosu) ← -ōsus. Del tutto analoga è la situazione in Sardegna; anche qui ē ed ō prendono  parte, sotto l’influsso di una -ŭ o di una -ī  finali, all’ulteriore sviluppo di ĕ ed ŏ, sviluppo che in questa zona non conduce peraltro alla dittongazione, ma soltanto alla metafonia di ę →  ẹ, ǫ → ọ: per esempio prẹnu - pręna ‘pieno’, ‘piena’ (come lẹttu lĕctu), ọru ‘orlo’ ōru (come fọgu ← fŏcu). Come in Sardegna, anche qui si ha lo stesso esito per ĭ  e per ī, per ŭ ed ū: cfr. nivi ← nĭve, filu ← fīlu, nući ← nŭce, lući ← lūce. In contrapposto al sistema vocalico del latino volgare, costituito da cinque gradi, abbiamo dunque qui - come in Sardegna (e nella Corsica meridionale) - un sistema di tre gradi (Sistema B), come nel latino antico:
Il sistema della nove vocali si è semplificato in cinque:

La notevole corrispondenza fra gli esiti assai arcaici della Sardegna e lo sviluppo fonetico della zona calabro-lucana che di sopra abbiamo delimitato ci addita delle interdipendenze molto antiche. Copioso materiale documentario per questa zona dà il Lausberg - al quale dobbiamo la scoperta dei citati particolari rapporti fonetici - nel suo lavoro « Die Mundarten Südlukaniens », §§ 18 sgg., che resta fondamentale per il vocalismo dell’Italia meridionale; cfr. anche Rohlfs, in Jaberg, Don., 31 sgg., dove sono state raccolte liste particolareggiate di comparazione.

Un sistema di compromesso si è sviluppato in una piccola zona nell’interno della Lucania (a sud-est di Potenza): in questa porzione di territorio di transizione fra l’ambiente dialettale con vocalismo sardo da un lato, e la contigua area a nord con vocalismo neolatino-comune,  ĭ ed ē (ed ĕ) si sono confuse nel suono e (come nel Sistema A), mentre ŭ è rimasta separata da ō  e si è fusa con l’antica ū. Un esempio di tale vocalismo (che corrisponde alla situazione fonetica del romeno) è il punto 733 - Castelmezzano - dell’AIS: cfr. sẹta, tẹla, vẹna, sẹra, nẹvǝ, pẹća, sẹta ‘sete’, pẹpǝ (accanto a fẹlǝ, mẹlǝ), dall’altra parte krućǝ, núcǝ, surdǝ ‘sorda’, grutt, munć ‘mungere’, vuddǝ ’bollire’ (a fianco di murǝ, fusǝ), di contro a nǝpotǝ, sọlǝ, karvọnǝ, krọna (a fianco di kọrǝ, nọvǝ ‘nuova’). La dimostrazione di questo vocalismo, i cui confini geografici sono ancora da stabilire con maggior precisione, è stata data dal Lausberg, §§ 70 sgg. Nella zona in questione vale in sostanza il seguente sistema, anch’esso a tre gradi (Sistema C)(1):



(1) Lo sviluppo vocalico in questione è valido soltanto per la posizione in sillaba libera, perché in quella chiusa le vocali chiuse sono diventate aperte per abbreviamento.


mercoledì, aprile 11, 2018

§ 2. Vocalismo arcaico in una zona dell’Italia meridionale (Lucania-Calabria).

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 2.

Vocalismo arcaico in una zona dell’Italia meridionale (Lucania-Calabria)

Il sistema vocalico che abbiamo ora caratterizzato, sebbene si sia affermato in gran parte della Romània, non ha però preso piede dappertutto. Invero, in Romania si ha un uguale esito per ē ed ĭ (confusione in e: cfr. il romeno parete ← parēte e sete ← sĭte) ma ō si è svolta insieme con ŏ (soare ← sōle, roata ← rōta), non con ŭ (cruce ← crŭce). Parimenti la Sardegna non ha preso parte allo sviluppo del latino volgare. Qui la ē ha avuto lo stesso esito non di ĭ, ma di ĕ, e analogamente la ō non di ŭ, ma di ŏ; mentre ī  si è svolta confondendosi con ĭ e ū con ŭ: cfr. il sardo nive ← nĭve, kadęna ← catēna, fęle ← fĕl, ruke ← crŭce, sǫle ← sōle, rǫda ← rōta, filu ← filu, muru ← muru. Si è ritenuto per lungo tempo che questa conservazione delle differenze tra ĭ  ed ē,  ŭ ed ō fosse limitata soltanto alla Sardegna (e alla parte meridionale della Corsica, cfr. § 127); ma studi più recenti hanno mostrato che la separazione di entrambe le coppie di suoni e la coincidenza di ē  con ĕ,  ō con ŏ,  ī con ĭ, ū con ŭ  sussiste ancora oggi in una striscia quanto mai arcaica di territorio montano al confine della Calabria con la Lucania: si tratta di una zona che da Maratea nel golfo di Policastro si spinge fino al golfo di Taranto, da entrambe le parti del confine tra Calabria e Lucania, per Castrovillari e la valle del Sinni. Nella parte meridionale la zona in discorso arriva fino alla linea che congiunge all’incirca Diamante con Cassano, nel settentrione fino al fiume Agri. Prendendo come esempio per la Lucania le località di Maratea e San Chirico Raparo, per la Calabria Oriolo e Cerchiara, otterremo il seguente quadro fonetico:

La coincidenza di
ē con ĕ, di ō con ŏ, fa sì che in seguito quelle che furono ē ed ō subiscano l’ulteriore destino di ĕ ed ŏ; così, per esempio, parole che un tempo avevano ē ed ō partecipano a quei medesimi processi di metafonia o di dittongazione sotto l’influsso di una -ŭ o di una -ī finali, che valgono per delle ĕ ed ŏ primarie: cfr. nel territorio calabrese della zona arcaica in discorso acietu ’aceto’, sievu ‘sego’, miecu ← mēcum, virnietu ‘ontaneto’ ← vernētum, vuliemu ← volēmus, avietsǝ ←  habētis, triei ← *trēi, fiemmǝna ← fèmina, cuttuóriu ← *coctōrium, scuópulu ← *scōpulu, -uosu (per esempio minnuluosu, garrijuosu) ← -ōsus. Del tutto analoga è la situazione in Sardegna; anche qui ē ed ō prendono  parte, sotto l’influsso di una -ŭ o di una -ī  finali, all’ulteriore sviluppo di ĕ ed ŏ, sviluppo che in questa zona non conduce peraltro alla dittongazione, ma soltanto alla metafonia di ę →  ẹ, ǫ → ọ: per esempio prẹnu - pręna ‘pieno’, ‘piena’ (come lẹttu lĕctu), ọru ‘orlo’ ōru (come fọgu ← fŏcu). Come in Sardegna, anche qui si ha lo stesso esito per ĭ  e per ī, per ŭ ed ū: cfr. nivi ← nĭve, filu ← fīlu, nući ← nŭce, lući ← lūce. In contrapposto al sistema vocalico del latino volgare, costituito da cinque gradi, abbiamo dunque qui - come in Sardegna (e nella Corsica meridionale) - un sistema di tre gradi (Sistema B), come nel latino antico:
Il sistema della nove vocali si è semplificato in cinque:

La notevole corrispondenza fra gli esiti assai arcaici della Sardegna e lo sviluppo fonetico della zona calabro-lucana che di sopra abbiamo delimitato ci addita delle interdipendenze molto antiche. Copioso materiale documentario per questa zona dà il Lausberg - al quale dobbiamo la scoperta dei citati particolari rapporti fonetici - nel suo lavoro « Die Mundarten Südlukaniens », §§ 18 sgg., che resta fondamentale per il vocalismo dell’Italia meridionale; cfr. anche Rohlfs, in Jaberg, Don., 31 sgg., dove sono state raccolte liste particolareggiate di comparazione.

Un sistema di compromesso si è sviluppato in una piccola zona nell’interno della Lucania (a sud-est di Potenza): in questa porzione di territorio di transizione fra l’ambiente dialettale con vocalismo sardo da un lato, e la contigua area a nord con vocalismo neolatino-comune,  ĭ ed ē (ed ĕ) si sono confuse nel suono e (come nel Sistema A), mentre ŭ è rimasta separata da ō  e si è fusa con l’antica ū. Un esempio di tale vocalismo (che corrisponde alla situazione fonetica del romeno) è il punto 733 - Castelmezzano - dell’AIS: cfr. sẹta, tẹla, vẹna, sẹra, nẹvǝ, pẹća, sẹta ‘sete’, pẹpǝ (accanto a fẹlǝ, mẹlǝ), dall’altra parte krućǝ, núcǝ, surdǝ ‘sorda’, grutt, munć ‘mungere’, vuddǝ ’bollire’ (a fianco di murǝ, fusǝ), di contro a nǝpotǝ, sọlǝ, karvọnǝ, krọna (a fianco di kọrǝ, nọvǝ ‘nuova’). La dimostrazione di questo vocalismo, i cui confini geografici sono ancora da stabilire con maggior precisione, è stata data dal Lausberg, §§ 70 sgg. Nella zona in questione vale in sostanza il seguente sistema, anch’esso a tre gradi (Sistema C)(1):



(1) Lo sviluppo vocalico in questione è valido soltanto per la posizione in sillaba libera, perché in quella chiusa le vocali chiuse sono diventate aperte per abbreviamento.


§ 1. Il sistema vocalico del latino volgare.

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1.

Il sistema vocalico del latino volgare

Nel periodo classico il sistema vocalico del latino volgare consisteva, prescindendo dai dittonghi, di cui tratteremo più avanti, nel seguente sistema di tre gradi:
Ma già all’inizio della nostra era si pervenne a una rottura delle antiche opposizioni di quantità, per cui si sviluppò un nuovo sistema vocalico, nel quale è fondamentale non la quantità, bensì la qualità della vocale. In seguito a tale sviluppo si ebbero i suoni aperti dalle antiche vocali brevi e i suoni chiusi dalle antiche vocali lunghe. Il sistema vocalico del latino volgare viene dunque a consistere nei seguenti cinque gradi:
Questo sistema vocalico esiste però solo in teoria, perché in realtà fin dalla dissoluzione delle antiche condizioni di quantità (e in parte già anche prima) si pervenne a una coincidenza di diverse vocali fra loro, vale a dire ad una eliminazione di distinzioni fra gradi vocalici affini o contigui. Nella lingua popolare di Roma, che durante i primi secoli del latino volgare esercitò un’influenza determinante sul sermo quotidianus delle Province, avvenne una semplificazione del nuovo sistema vocalico a cinque gradi, di modo che l’antica ĭ e l’antica ē si fusero nella forma , e le antiche ŭ ed ō nella forma . Abbiamo pertanto un sistema vocalico a quattro gradi (Sistema A), che si compone delle seguenti sette vocali:
ed è valido non soltanto per la maggior parte dell’Italia, bensì anche per il gallo-romanzo, le lingue neolatine della penisola iberica e il ladino: cfr. l’italiano
 Possiamo perciò chiamarlo il sistema vocalico del latino volgare. 


(1) Per la differenziazione dei diversi sistemi vocalici nel latino volgare, cfr. particolarmente Lausberg, R. Sp. §§ 156-62.

Vol. III - Sintassi. Gerhard Rohlfs: grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. - Homepage.

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Testo online in IACOS.
Gerhard Rohlfs
GRAMMATICA STORICA DELLA LINGUA ITALIANA E DEI SUOI DIALETTI
Tratto da Internet Archive
Collection Open Source.
Vol. I: Fonetica.
Vol. II: Morfologia.
Vol. III: Sintassi e formazione delle parole.
Torino 1969.


VOLUME TERZO
SINTASSI E FORMAZIONE DELLE PAROLE.


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Gerhard Rohlfs
GRAMMATICA STORICA DELLA LINGUA ITALIANA E DEI SUOI DIALETTI
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Vol. II: Morfologia.
Vol. III: Sintassi e formazione delle parole.
Torino 1969.


VOLUME SECONDO
MORFOLOGIA


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