B. HS. Home. → § 2.
GRAMMATICA STORICA
DELLA LINGUA ITALIANA
Estratta e compendiata
dalla Grammatica Romana di Federico Diez
per opera di
Raffaello Fornaciari
Parte Prima
Morfologia
Roma - Torino - Firenze
Ermanno Loescher
1872
INTRODUZIONE
§ 1. L’italiano come lingua derivata. — La lingua italiana non è originale come la greca e la tedesca, ma proviene dalla lingua latina; onde appartiene alle lingue derivate. Quando i Romani estesero la loro signoria sulle terre conquistate in Italia e fuori, vi portarono anche la natia lingua, la quale negli ultimi secoli dell’impero occidentale si trovava stabilita non pure in tutta Italia, ma ancora nella penisola de’ Pirenei, nella Gallia e nei paesi del Danubio da Traiano sottomessi e popolati di colonie. Questa lingua però non era il latino quale è scritto in Cicerone o in Tacito, ma quale lo parlava il popolo (lingua rustica), cioè un volgare, che secondo i bisogni e le occasioni si andò ampliando sempre più e allontanandosi dalla lingua scritta usata dai signori e dai letterati, quanto più quella lingua perdea vita e mobilità.
Nota. — Fra i tanti vocaboli che appartengono a questa lingua del popolo, rechiamo per esempio: bucca (bocca) per os, caballus (cavallo) per equus, casa (capanna, casa) per domus, catus (gatto) per felis, bassus (basso) per humilis, grossus (grosso) per crassus, batuere (battere) per verberare, campsare (cansare) per vitare, manducare (mangiare) per edere, i quali e simili vocaboli si leggono per lo più o negli antichissimi scrittori latini, quando la lingua non era anche stata coltivata, o ne’ grammatici ultimi che cercavano, additando le forme popolari, di conservarne la purità.
§ 2. Commistione del linguaggio dei popoli vincitori con quello dei popoli vinti. — Quando poi nel quarto e quinto secolo dopo Cristo, i Germani, passato il Danubio, le Alpi e il Reno, ebbero invaso l’impero romano, essi, quantunque vincitori, presero bensì la lingua dei loro soggetti che erano assai più civili e colti e in troppo maggior numero; ma ciò non ostante una parte dei vocaboli tedeschi entrò nelle nuove favelle.
Nota. — Tali sono, per esempio, non pochi vocaboli che si riferiscono a cose civili e guerresche o ad altri usi dei vincitori: p. e. alabarda, albergo, nappo, araldo, bandire, bargello, bianco, bordo, bracco, brando, dardo, elmo, forbire, fresco, gabella, gaio, guerra, rocca, schermo, schiavo, stocco, tovaglia, ecc.
§ 3. Secondo l'uso già invalso presso i latini, questi tedeschi
invasori eran chiamati barbari^ e barbara la lor lingua. Essi al
contrario diceano gli abitanti dell'impero romani^ onde alle
nuove lingue che si formarono fra questi ultimi, restò il nome
di lingue romane. Sei sono le lingue romane più coltivate, e
che hanno una propria letteratura, la valacca nella Vallachia
(l'antica Dacia), l'italiana in Italia, la provenzale nel mezzo-
giorno della Francia ( Provenza ) lingua che ora nelle scritture
non si usa più, la francese in tutta la Francia, la spagnuola
e la portoghese nella Spagna e nel Portogallo.
§ 4. Queste lingue romane si considerano quindi come so-
relle, poiché tutte risultano per la massima parte dal latino e
in parte ancora dal tedesco. Ciò però non toglie che non vi
sieno entrate ancora molte voci greche, e non poche altresì
delle arabiche venute in Ispagna per l'invasione degli Arabi,
e di là passate poi nelle vicine nazioni.
Nota. — Di forme greche basti citare abisso, agognare,
accidia, atomo, bastone, borsa, ermo, zìo,
colla, golfo ^ estro, parola, tapino ecc. Di arabi-
che albicocco, alchimia, alcool, alcova, alge-
bra, assassino, canfora, turcimanno, giulebbe,
lambicco, tariffa, turcasso ecc.
§ 5. La lingua italiana è la più pura tra le lingue romane,
e può dirsi a buona ragione, la figlia più somigliante alla
madre. Valutando le voci che essa contiene, si trova a un di-
presso che nove decimi sono d'origine latina, dell'altro decimo
le più appartengono alla lingua degli antichi Germani, poi
alla greca ed all'araba, alcune al persiano, al celtico, allo slavo;
altre sono di origine ancora incerta ed oscura, e risalgono forse
airantiche favelle italiche, come Tetrusca, la ligure, l'osca.
Tumbra ecc. Di quelle voci finalmente che possono esservi pe-
netrate per le invasioni e gli stabilimenti dei Normanni e
Francesi nella Sicilia e in Napoli, dei Catalani nella Sardegna,
dei Provenzali nell'Italia settentrionale, non è da tener conto,
perchè tutti questi popoli, come si rileva da quanto dicemmo
sopra, ebbero un fondo di lingua comune colla italiana. *
§ 6. — La lingua italiana si estende in tutta la penisola detta
italica ed inoltre nel cantone del Ticino e in una parte del
Tirolo e deiriUiria. Si distingue in parlata e scritta. La par-
lata si divide in molti dialetti, i quali si possono annoverare
distinguendo tre provinole di lingue, una dell'Italia inferiore,
una della media, una della superiore. Appartengono alla infe-
riore il dialetto napoletano, il calabrese, il siciliano, ai quali
bisogna aggiungere i dialetti della Sardegna. All'Italia media
appartengono i dialetti toscani, p. e. quelli di Firenze, Pistoia,
Siena, Pisa, Lucca, Arezzo, e i dialetti romani. Aggiungi la
Corsica e una parte della Sardegna. All'Italia superiore appar-
tengono il genovese, il gallo italico (che comprende i dialetti
della Lombardia e dell'Emilia, e il piemontese), il veneziano e
il friulano. La principal differenza tra i dialetti inferiori e i
dialetti superiori sta in questo, che i primi fognano le conso-
nanti, i secondi le vocali prive d'accento, quelli son più molli,
questi sono più aspri, conforme al diverso clima e sito del luogo
dove si parlano.
§ 7. — La lingua italiana scritta, e usata nell'opere letterarie
per tutta la penisola, non è altro in origine che la lingua di
Firenze o piuttosto della Toscana, nobilitata e corretta, col-
l'aiuto del latino, dai tre grandi fiorentini Dante, Petrarca e
Boccaccio. Fu poi trattata ed ampliata da scrittori eccellenti
d'ogni parte d'Italia, ma tenne sempre per suo fonte la Toscana,
e per secol d'oro il secolo di quei tre. Si cominciò a regolarla
colla grammatica nella prima metà del secolo XVI, e si pub-
* Vedi il Nannucoi, Voci italiane derivate dalla lingua proven-
jsale^ Firenze 1840.
blicò il primo suo vocabolario generale nel 1612 dall'Accade-
mia fiorentina della Crusca.
§ 8. — Essendo dunque la lingua italiana derivata dalla la-
tina, ne segue che non solamente quasi tutti i vocaboli di cui
si compone sieno latini, ma ancora che la flessione loro e la
loro costruzione abbiano per norma la grammatica latina. Quindi
chi voglia acquistare una cognizione profonda e ragionata della
lingua italiana, deve muovere dalle forme latine, come noi fa-
remo in questo lavoro.
Testo online. |
DELLA LINGUA ITALIANA
Estratta e compendiata
dalla Grammatica Romana di Federico Diez
per opera di
Raffaello Fornaciari
Parte Prima
Morfologia
Roma - Torino - Firenze
Ermanno Loescher
1872
§ ii. ← § iii. → iv.
Sommario: §§ 1. L’italiano come lingua derivata. – 2. Commistione del linguaggio dei popoli vincitori con quello dei popoli vinti. –
§ 1. L’italiano come lingua derivata. — La lingua italiana non è originale come la greca e la tedesca, ma proviene dalla lingua latina; onde appartiene alle lingue derivate. Quando i Romani estesero la loro signoria sulle terre conquistate in Italia e fuori, vi portarono anche la natia lingua, la quale negli ultimi secoli dell’impero occidentale si trovava stabilita non pure in tutta Italia, ma ancora nella penisola de’ Pirenei, nella Gallia e nei paesi del Danubio da Traiano sottomessi e popolati di colonie. Questa lingua però non era il latino quale è scritto in Cicerone o in Tacito, ma quale lo parlava il popolo (lingua rustica), cioè un volgare, che secondo i bisogni e le occasioni si andò ampliando sempre più e allontanandosi dalla lingua scritta usata dai signori e dai letterati, quanto più quella lingua perdea vita e mobilità.
Nota. — Fra i tanti vocaboli che appartengono a questa lingua del popolo, rechiamo per esempio: bucca (bocca) per os, caballus (cavallo) per equus, casa (capanna, casa) per domus, catus (gatto) per felis, bassus (basso) per humilis, grossus (grosso) per crassus, batuere (battere) per verberare, campsare (cansare) per vitare, manducare (mangiare) per edere, i quali e simili vocaboli si leggono per lo più o negli antichissimi scrittori latini, quando la lingua non era anche stata coltivata, o ne’ grammatici ultimi che cercavano, additando le forme popolari, di conservarne la purità.
§ 2. Commistione del linguaggio dei popoli vincitori con quello dei popoli vinti. — Quando poi nel quarto e quinto secolo dopo Cristo, i Germani, passato il Danubio, le Alpi e il Reno, ebbero invaso l’impero romano, essi, quantunque vincitori, presero bensì la lingua dei loro soggetti che erano assai più civili e colti e in troppo maggior numero; ma ciò non ostante una parte dei vocaboli tedeschi entrò nelle nuove favelle.
Nota. — Tali sono, per esempio, non pochi vocaboli che si riferiscono a cose civili e guerresche o ad altri usi dei vincitori: p. e. alabarda, albergo, nappo, araldo, bandire, bargello, bianco, bordo, bracco, brando, dardo, elmo, forbire, fresco, gabella, gaio, guerra, rocca, schermo, schiavo, stocco, tovaglia, ecc.
§ 3. Secondo l'uso già invalso presso i latini, questi tedeschi
invasori eran chiamati barbari^ e barbara la lor lingua. Essi al
contrario diceano gli abitanti dell'impero romani^ onde alle
nuove lingue che si formarono fra questi ultimi, restò il nome
di lingue romane. Sei sono le lingue romane più coltivate, e
che hanno una propria letteratura, la valacca nella Vallachia
(l'antica Dacia), l'italiana in Italia, la provenzale nel mezzo-
giorno della Francia ( Provenza ) lingua che ora nelle scritture
non si usa più, la francese in tutta la Francia, la spagnuola
e la portoghese nella Spagna e nel Portogallo.
§ 4. Queste lingue romane si considerano quindi come so-
relle, poiché tutte risultano per la massima parte dal latino e
in parte ancora dal tedesco. Ciò però non toglie che non vi
sieno entrate ancora molte voci greche, e non poche altresì
delle arabiche venute in Ispagna per l'invasione degli Arabi,
e di là passate poi nelle vicine nazioni.
Nota. — Di forme greche basti citare abisso, agognare,
accidia, atomo, bastone, borsa, ermo, zìo,
colla, golfo ^ estro, parola, tapino ecc. Di arabi-
che albicocco, alchimia, alcool, alcova, alge-
bra, assassino, canfora, turcimanno, giulebbe,
lambicco, tariffa, turcasso ecc.
§ 5. La lingua italiana è la più pura tra le lingue romane,
e può dirsi a buona ragione, la figlia più somigliante alla
madre. Valutando le voci che essa contiene, si trova a un di-
presso che nove decimi sono d'origine latina, dell'altro decimo
le più appartengono alla lingua degli antichi Germani, poi
alla greca ed all'araba, alcune al persiano, al celtico, allo slavo;
altre sono di origine ancora incerta ed oscura, e risalgono forse
airantiche favelle italiche, come Tetrusca, la ligure, l'osca.
Tumbra ecc. Di quelle voci finalmente che possono esservi pe-
netrate per le invasioni e gli stabilimenti dei Normanni e
Francesi nella Sicilia e in Napoli, dei Catalani nella Sardegna,
dei Provenzali nell'Italia settentrionale, non è da tener conto,
perchè tutti questi popoli, come si rileva da quanto dicemmo
sopra, ebbero un fondo di lingua comune colla italiana. *
§ 6. — La lingua italiana si estende in tutta la penisola detta
italica ed inoltre nel cantone del Ticino e in una parte del
Tirolo e deiriUiria. Si distingue in parlata e scritta. La par-
lata si divide in molti dialetti, i quali si possono annoverare
distinguendo tre provinole di lingue, una dell'Italia inferiore,
una della media, una della superiore. Appartengono alla infe-
riore il dialetto napoletano, il calabrese, il siciliano, ai quali
bisogna aggiungere i dialetti della Sardegna. All'Italia media
appartengono i dialetti toscani, p. e. quelli di Firenze, Pistoia,
Siena, Pisa, Lucca, Arezzo, e i dialetti romani. Aggiungi la
Corsica e una parte della Sardegna. All'Italia superiore appar-
tengono il genovese, il gallo italico (che comprende i dialetti
della Lombardia e dell'Emilia, e il piemontese), il veneziano e
il friulano. La principal differenza tra i dialetti inferiori e i
dialetti superiori sta in questo, che i primi fognano le conso-
nanti, i secondi le vocali prive d'accento, quelli son più molli,
questi sono più aspri, conforme al diverso clima e sito del luogo
dove si parlano.
§ 7. — La lingua italiana scritta, e usata nell'opere letterarie
per tutta la penisola, non è altro in origine che la lingua di
Firenze o piuttosto della Toscana, nobilitata e corretta, col-
l'aiuto del latino, dai tre grandi fiorentini Dante, Petrarca e
Boccaccio. Fu poi trattata ed ampliata da scrittori eccellenti
d'ogni parte d'Italia, ma tenne sempre per suo fonte la Toscana,
e per secol d'oro il secolo di quei tre. Si cominciò a regolarla
colla grammatica nella prima metà del secolo XVI, e si pub-
* Vedi il Nannucoi, Voci italiane derivate dalla lingua proven-
jsale^ Firenze 1840.
blicò il primo suo vocabolario generale nel 1612 dall'Accade-
mia fiorentina della Crusca.
§ 8. — Essendo dunque la lingua italiana derivata dalla la-
tina, ne segue che non solamente quasi tutti i vocaboli di cui
si compone sieno latini, ma ancora che la flessione loro e la
loro costruzione abbiano per norma la grammatica latina. Quindi
chi voglia acquistare una cognizione profonda e ragionata della
lingua italiana, deve muovere dalle forme latine, come noi fa-
remo in questo lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento