Precedente/Successivo
Stesso discorso per i due libri precedenti. La lettura è in corso ed avrei voluto aspettare il termine per parlarne. Ma non è necessario e forse neppure opportuno. Vi è poi anche il rischio che passando troppo tempo non ne parli affatto e subentrino altri interessi ed incombenze. Siamo sempre, come per i due altri libri pur assai diversi, di Salerno e di Mlecin, negli anni del primo dopoguerra, quando matura quello status quo e quella cultura politica che finirà per influenzare tutti noi, nati dopo la disfatta, senza poter ricostruire il vero senso della nostra nascita e non poter avere consapevolezza dei parametri e degli ideologismi che ingabbieranno il nostro sforzo di consapevolezza critica. Ci hanno ingannato in tutti i modi possibili ed ancora oggi i più sono ingannati, ma non lo sanno. Ed a noi che cerchiamo di aprir loro gli occhi ci fanno passare per “matti” e ci mettono alla “gogna”.
Il tema che tratta Buscaroli è lo stesso che ha incominciato a dissodare Giampaolo Pansa, ma – direi – con una differenza importante e sostanziale, senza voler qui parlare male di Pansa, i cui libri ho già letto e vado leggendo. Pansa mi sembra uno scrittore che abbia scoperto un filone di successo, su cui poter scrivere libri, trattando temi nuovi e perciò tali da poter essere venduti. Diverse stanno le cose per Piero Buscaroli che invece ha vissuto e sofferto quegli anni come un protagonista, anzi no, meglio dire come una vittima, sia per le vicende personali che hanno colpito il padre, sia per quella che sarò poi la sua storia come intellettuale fino ai nostri giorni, dove forse appena può permettersi di pubblicare le sue “Memorie”.
Tanti i fatti narrati, o meglio ancora le prospettive con cui noi possiamo leggere e vedere eventi che ci sono stati narrati in altro modo, e che per una sorta di legislazione antirevisionista non possiamo ancora neppure permetterci di interpretare in altro modo, se non vogliamo incorrere in qualche avventura giudiziaria. Accenno soltanto agli eventi di via Rasella, quando ancora non esistevano i “martiri” kamikaze e nessuno aspirava ad un simile ruolo. Il calcolo della prevista e prevedibile rappresaglia, senza nessun utilità politico-strategica, trova nelle pagine di Buscaroli una trattazione che commuove fin nel profondo e lascia l’amaro in bocca. A chi dirlo? È un mondo che ha perso quella “pietas” che era degli antichi e che ci è nota per la frequentazione di quelle pagine dei “classici” sui quali parte di noi si sono formati. La ferocia, l’inganno, la mistificazione è il pane con il quale hanno nutrito per lo meno le genrazioni dal 1950 in poi, che non hanno visto la guerra, ma ne hanno portato tutto il peso dell’eredità. Un Buscaroli, nato nel 1930, pur aver vissuto in anni più tragici e certo non invidiabili, era per lo meno fuori della caverna e poteva vedere ciò che all’aperto succedeva. Ma quelli che sono nati dopo, dal 1950 in poi, si son trovati nella faticosa posizione di chi ha dovuto decifrare il mondo dalle ombre che si agitavano sulle pareti della caverna.
Il libro di Buscaroli è prezioso in quanto salda l’esperienza di una generazione e di quella immediatamente successiva, a venti anni di distanza l’una dall’altra. Un libro su cui riflettere e sul quale torneremo.
Il tema che tratta Buscaroli è lo stesso che ha incominciato a dissodare Giampaolo Pansa, ma – direi – con una differenza importante e sostanziale, senza voler qui parlare male di Pansa, i cui libri ho già letto e vado leggendo. Pansa mi sembra uno scrittore che abbia scoperto un filone di successo, su cui poter scrivere libri, trattando temi nuovi e perciò tali da poter essere venduti. Diverse stanno le cose per Piero Buscaroli che invece ha vissuto e sofferto quegli anni come un protagonista, anzi no, meglio dire come una vittima, sia per le vicende personali che hanno colpito il padre, sia per quella che sarò poi la sua storia come intellettuale fino ai nostri giorni, dove forse appena può permettersi di pubblicare le sue “Memorie”.
Tanti i fatti narrati, o meglio ancora le prospettive con cui noi possiamo leggere e vedere eventi che ci sono stati narrati in altro modo, e che per una sorta di legislazione antirevisionista non possiamo ancora neppure permetterci di interpretare in altro modo, se non vogliamo incorrere in qualche avventura giudiziaria. Accenno soltanto agli eventi di via Rasella, quando ancora non esistevano i “martiri” kamikaze e nessuno aspirava ad un simile ruolo. Il calcolo della prevista e prevedibile rappresaglia, senza nessun utilità politico-strategica, trova nelle pagine di Buscaroli una trattazione che commuove fin nel profondo e lascia l’amaro in bocca. A chi dirlo? È un mondo che ha perso quella “pietas” che era degli antichi e che ci è nota per la frequentazione di quelle pagine dei “classici” sui quali parte di noi si sono formati. La ferocia, l’inganno, la mistificazione è il pane con il quale hanno nutrito per lo meno le genrazioni dal 1950 in poi, che non hanno visto la guerra, ma ne hanno portato tutto il peso dell’eredità. Un Buscaroli, nato nel 1930, pur aver vissuto in anni più tragici e certo non invidiabili, era per lo meno fuori della caverna e poteva vedere ciò che all’aperto succedeva. Ma quelli che sono nati dopo, dal 1950 in poi, si son trovati nella faticosa posizione di chi ha dovuto decifrare il mondo dalle ombre che si agitavano sulle pareti della caverna.
Il libro di Buscaroli è prezioso in quanto salda l’esperienza di una generazione e di quella immediatamente successiva, a venti anni di distanza l’una dall’altra. Un libro su cui riflettere e sul quale torneremo.
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