domenica, luglio 03, 2011

Freschi di stampa: 58. Pino Aprile: «Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud...» (Piemme, Giugno 2011)

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Il tema è interessante e si colloca a 150 anni dall’Unificazione come un momento opportuno di riflessione. La quarta di copertina fa un paragone con i libri di Pansa, che hanno divulgato il revisionismo storico sul periodo della guerra civile italiana, detta Resistenza o Liberazione, ma in realtà disfatta bellica, occupazione mai cessata e pure guerra civile mai veramente finita. Mi auguro però che non sia così, in quanto trovo piuttosto edulcorati e leggeri i libri che ho letti di Pansa. Vale oggi forse più di ieri il principio secondo cui i vincitori scrivono sempre la storia. Vi possono essere modi piuttosto grossolani ed altri più eleganti e sofisticati. È probabile, ma non voglio enunciare giudizi perentori e non modificabili, che il metodo iniziato da Pansa sia quello edulcorato. Vi è da sperare, per Pino Aprile ed auspicabili imitatori, che non vi siano i rischi che si corrono nel trattare il periodo di cui si è occupato Pansa. Per non parlare poi del revisionismo storico connesso ai campi di concentramento, dove il carcere duro è la regola per chi si discosta da canoni sanciti per legge e ferocemente applicati dalla magistratura, la stessa che mandò in carcere ed al patibolo i “briganti” di cui Aprile si occupa nel suo libro con un tono ed un linguaggio certamente non accademico. Scrive da giornalista e vuole suscitare emozioni, ai quali affida il successo commerciale del libro.

Ma il tema è troppo serio perché possa essere lasciato nelle mani di un giornalista, se Aprile è fondamentalmente questo e senza voler offendere i giornalisti, la cui funzione è da valutare caso per caso, ma che spesso come agenti ideologici non sono diversi dagli storici accademici, cambiando solo la tecnica e lo stile. Sono abbastanza avanti negli avanti per ricordare la ricorrenza del Centenario dell’Unificazione, quando terminavo le scuole elementari in Calabria. Ma ero allora troppo giovane per andare oltre le narrazioni scolastiche e ricostruire i fatti suo documenti rimasti. Adesso la difficile congiuntura italiana e internazionale costringe ad un ripensamento critico dell’Unificazione. Credo che anche la situazione internazionale porti a riflettere sui rapporti fra il ceto politico che vive esercitando il potere e la stragrande maggioranza dei cittadini che sono amministrati e che sempre più numerosi nutrono seri dubbi che chi governa in nome loro voglio il loro bene o che essi abbiano davvero il diritto ed il potere di eleggerli.

È forse questa nuova ed inedita condizione esistenziale che ci consente di comprendere gli anni dell’Unificazione oggi meglio di ieri. La rivoluzione tecnologica delle comunicazioni ci rende meno isolati l’un l’altro. Potendo comunicare più facilmente possiamo forse costruire una nuova identità. Ma è anche vero che questa possibile nuova identità è insidiata dai cosiddetti “mainstream”, dai grandi canali verticali di comunicazione, per la quali da una parte vi è il talk show e dall’altra succubi milioni di cittadini non si sa bene quanto criticamente autonomi e immuni da persuasione subliminale e da influenze programmate.

Inizio dunque con interesse la lettura del libro di Aprile, facendo teso di ogni nome di “brigante” finora ignoto. La scheda appare in questo mio blog poco curato e aggiornato, allo scopo di redigere una scheda autonoma per ogni “brigante” che Aprile mi farà conoscere. Avverto i miei lettori, e lo stesso Pino Aprile, se gli capita di leggere questa scheda, che in ragione dell’attualità del suo libro, me ne avvalgo come traccia per poi passare ad ulteriori approfondimenti, basandomi sugli spunti che lui stesso mi offre, ma privilegiando le ricerche dirette di archivio presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, dove di tanto in tanto mi reco per altre ricerche non ancora concluse. Rinvio inoltre ad una riflessione sullo stesso tema avviata da Teodoro Klitsche de la Grange, sul tema «Risorgimento e guerra civile», ed integrata con documenti inediti. Il lavoro è lungi dall’essere concluso e penso che potrà solo essere avviato. Non credo che mi sarà concesso il tempo per attendere il 200° anniversario dell’Unificazione, un tempo che giudico necessario per potermi formare idee abbastanza definitive su ciò che è stato il Risorgimento, di cui ci hanno parlato a scuola, ma che che trovo già infangato per taluni rapporti che vengono in alto loco fatti fra Risorgimento italiano e sionismo. Se davvero fosse così, allora sarebbe proprio da concludere che è tutto da buttar via e da rifare di sana pianta. Non so come la pensa al riguardo Pino Aprile, se ne parlerà nel resto del libro, ancora tutto da leggere.

(segue)

domenica, dicembre 05, 2010

«Un collegio sul M.te Carmelo», ora che il Monte brucia, come descritto in un articolo del 1921

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Di seguito a quanto abbiamo già detto e qui non ripetiamo, ci sembra interessante questo secondo articolo che riproduciamo dalla «Rassegna Italiana del Mediterraneo» del 1921. Dalla sua lettura dovrebbe risultare quanto questo Luogo sia stato e sia importante per la Cristianità. Eppure, mentre scriviamo sta ancora bruciando, e non sappiamo quali luoghi esattamente siano a rischio. Corre voce che l’incendio sia doloso. Le polemiche e i sospetti già prendono forma. Suscita impressione come la maggiore potenza militare e tecnologica dell’odierna Palestina si dimostri non all’altezza della situazione nel fronteggiare e soprattutto prevenire un incendio, che è dato come il maggiore in tutta la storia israeliana. Staremo a vedere quanto ancora ci sarà concesso nell’arco di una guerra che ininterrotta dura da oltre un secolo. È forse la più lunga guerra della storia umana, se si ammette che la pace non consiste nel semplice, momentaneo silenzio delle armi che producono deflagrazione del suono. Del resto, oggi come non mai la presenza cristiana nel Vicino Oriente, è ai minimi storici, ma non per intolleranza e persecuzione da parte dei musulmano – come certa propaganda vorrebbe far credere –, ma come conseguenza della guerra che il sionismo ha portato in tutta l’area geopolitica. Anche questo processo di espulsione o emigrazione andrebbe ricostruito al riparo dei media e degli agit-prop, le cui squadre in Europa vengono rinfoltite e rafforzate proprio in questi giorni dal governo israeliano, se dobbiamo credere al “Guardian” che ha intercettato un Leak. La notizia è ripresa dal quotidiano “il Manifesto” ed appare in una rassegna sionista, che si arrampica sugli specchi per negare l’evidenza di un’ampia e capillare corruzione in tutto il sistema dell’informazione e della formazione.

*

UN COLLEGIO SUL M.te CARMELO

di P.G. in La Rassegna Italiana del Mediterraneo, Anno I, N. 8, Settembre 1921, pp. 221-226; e ivi, N. 9, Ottobre 1921, pp. 245-251.

Forse ai nostri lettori non sarà sfuggita la notizia, riportata su giornali e riviste, della fondazione di un collegio per Missionari voluta dal Rev.mo P. Generale dei Carmelitani Scalzi su lo storico Monte Carmelo. Il Rev.mo P. Generale ha inteso, con tale opportunissimo provvedimento, preparare nuove falangi di giovani destinati a disseminare la civiltà tra i popoli delle estesissime Missioni, che il benemerito Ordine coltiva da secoli nelle Indie, nella Mesopotamia, Persia, Urabà, Anatolia e Siria: queste due ultime italiane e sotto l’alta protezione del R. Governo.

Siamo sicuri che i nostri lettori gradiranno una breve illustrazione della biblica Montagna.

Carmelo di Giuda e Carmelo del mare

In Palestina due monti si chiamano «Carmelo». La Bibbia, per distinguerli, li chiama: Carmelo di Giuda e Carmelo del mare. Il primo si trova a sud della nominata Tribù, tra il Mar Morto e la città di Hebron, dalla parte di Idumea, e raggiunge 800 metri sul livello del mare. Si presenta arido e sempre triste, eccetto il tempo primaverile; poichè allora si ricopre di un verde tappeto tempestato non di fiori ma di pietre. Al Carmelo di Giuda si riferisce la Scrittura quando parla dell’Arco di trionfo di Saul (1); e in questo medesimo monte Nabal, marito della prudente Abigail, teneva il suo gregge di capre e di pecore (2).

(segue)

«La questione dei Luoghi Santi», vista in una rivista del 1921, in un articolo di R. Paribeni.

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Viene qui riprodotto un articolo tratto dalla «Rassegna Italiana del Mediterraneo», Anno I, Numero I, gennaio 1921. È un tema indirettamente collegato ad un’ampia ricerca sul tema «La questione sionista e il Vicino Oriente». Giacché nell’articolo non si accenna propriamente al sionismo, è parso opportuno non appesantire il nostro blog tematico di “Geopolitica”, aprendo un’ampia digressione. Tuttavia, è bene avere una qualche cognizione dell’annosa problematica dei “Luoghi Santi”, che volendo a una storia secolare, addirittura riconducibile all’epoca delle Crociate e degli Ordini cavallereschi, tema certamente affascinante ma piuttosto lontano da una questione attuale e cruciale come la “pulizia etnica”, di cui in forme malamente mascherate sono oggi vittime i palestinesi e non certo per motivi religiosi, come ancora poteva essere ai tempi delle Crociate, dove pure si instaurò un clima di intesa e di reciproco rispetto fra genti di fede diversa. Anche se la stessa propaganda sionista tenta di suscitare guerra fra cristianesimo e Islam, non esiste nessun motivo per il quale le due grandi religioni con ciascuna oltre un miliardo di fedeli dichiarati non possano e non debbano vivere in pace nel rispetto reciproco. Non è certo, sul piano dei numeri, una grande religione il giudaismo. Lo fu nel primo millennio, ai tempi della Kazaria, ma poi perse nel tempo ogni attrattiva ed oggi è teologicamente compromessa per la commistione, tutta politica ed economica, fra ebraismo e sionismo. Se le persone di fede giudaica non superano oggi nel mondo qualche decina di milioni di persone, deve però riconoscersi ad essa una grande potenza politica per la capacità lobbistica dei suoi membri sionisti sulla maggiore potenza che attualmente incombe sul pianeta terra, cioè gli USA. Non entriamo adesso in dettagli che trattiamo altrove. Aggiungiamo soltanto che le tre religioni monoteiste, pur spesso in conflitto fra di loro, hanno una comune matrice e nella Bibbia e soprattutto nella concezione monoteista, che soppiantò il bel mondo popolato da quelle innumerevoli divinità, assai tolleranti, che ormai possiamo conoscere solo dai poemi classici e da quanto è sopravvissuto della loro memoria nelle arti figurative. Il cristianesimo – a nostro avviso – è frutto più dell’ambiente ellenistico che non del giudaismo, la cui angustia teologica e antropologica ci sembra la vera causa della sua scarsa attrattiva, se oggi solo pochi milioni di persone professano questa religione. Il cristianesimo seppe invece assorbire in una grande sincretismo quanto la religiosità greco-romana aveva ed avrebbe ben potuto tramandare fino a noi se non fosse stata sconfitta dalla pretesa intollerante dell’Unico Dio. Ma anche per questa problematica abbiamo un blog specifico, al quale rinviamo e dove cureremo i necessari svolgimenti. Qui presentiamo senz’altro indugio il primo di una serie articoli integrativi della ricostruzione di una Guerra Ultracentenaria che funesta ancora oggi la nostra epoca.

* * *

LA QUESTIONE DEI LUOGHI SANTI

di R. Paribene,
in Rassegna Italiana del Mediterraneo,
a. I, n. 1, gennaio 1921, pp. 8-12

Da parecchi decenni tutte le volte che si è avuta occasione di redigere un trattato con la Turchia, si è accennato alla questione dei Luoghi Santi. Ma mentre le varie questioni territoriali, commerciali, economiche, ecc,. appaiono in quei trattati per solito nettamente definitem quando si viene all’argomento dei Luoghi Santi la soluzione prescelta è sempre redatta il forma sì vaga e nebulosa, che finisce per non risolver nulla.

Valga come ottimo degli esempi l’articolo 62 del Trattato di Berlino del 13 luglio 1878:
«Il est bien intendu, qu’aucune atteinte ne saurait être portée au statu quo dans les Lieux Saints».
Nè si deve pensare che questa vaga indeterminatezza di formula sia dovuta allo scarso interesse che la questione sembra debba suscitare tra gli scettici uomini d’Occidente, ma piuttosto alla delicatezza somma della cosa e al molto d’interesse e di passione che essa può sollevare tra gli uomini del Levante.

(segue)

lunedì, marzo 15, 2010

Notizie curiose e divertenti in materia sensibile ed esplosiva: giudaico-sionista.


Il riso è forse l’arma più innocua e distruttiva che in modo non violento possa usarsi contro un regime di intolleranza e sopraffazione che ogni giorno diventa sempre più sfacciato, esigente ed arrogante. Per le vignette su Maometto, che non mi hanno fatto mai ridere, si invoca la libertà di stampa e di espressione artistica noncé di pensiero, ma se appena la satira cambia di segno e si volge altrove, allora scattano pesanti sanzioni penali. In questo blog dedicato alle “spigolature”, pensiamo di fare cosa e utile raccogliendo in un solo post notizie che si prestano in uno stesso tempo al riso ed alla riflessione. L’idea di metterle insieme sorge da una loro contemporaneità pur nella diversità dei loro contesti. Ad esempio, merita di passare nella storia del riso, non in senso vegetale, ma proprio del ridere più o meno a creparelle, rientra la bufala pezzettiana che aveva pensato di dare un chicca alla mostra della Shoah in Roma, annunciando che la cantante Lia Origoni della Scala di Milano aveva cantato in Auschwitz, ossia nella comune immaginazione il luogo dove si entra passando sotto il cartello “Arbeit macht frei”, mentre invece si trattava di un teatro varietà esistente in Berlino con lo stesso nome, ma soprattutto negando la signora Origoni di essere mai stata all’interno del campo di concentramento, come leggendo sul “Corriere della Sera” del 27 gennaio un comune lettore poteva intendere. È stata quanto mai penoso e divertente la smentita, apparsa sullo stesso quotidiano in data 1° marzo, da parte del direttore della mostra Marcello Pezzetti, noto storico olocaustico, che peraltro era per lo meno costretto ad ammettere che non vi era nessun “inedito” – come annunciato – ma solo un insignificante e per nulla “eccezionale” documento edito dieci anni prima. La mia personale vicenda e polemica è narrata in apposito post, ma qui intendo raccogliere tutte le notizie analoghe che. per la mia sensibilità e per il mio angolo visuale, offrono spunti comici.

Vers. 1.4/15.3.10
Sommario: 1. Ma quale Scala? – 2. Lula non vuole. – 3. Qualcuno si muove. – 4. Una Promenade Ben Gurion a Parigi. – 5. E perchè mai proprio Lula? –

1. Ma quale Scala? – Il nostro viaggio, spigolando qua e là, incomincia con un rinvio ad un ampio post di questo blog, che qui riassumiamo brevemente. In data 27 gennaio 2010, in coincidenza con le annuali ricorrenze della Shoah veniva annunciato un documento inedito di eccezionale importanza offerto ai visitatori della mostra al Vittoriano, non ancora conclusa. Il chiaro intento era quello di gettare discredito sulla massima istituzione musicale del paese, il teatro della Scala di Milano, una cui cantante, Lia Origoni, avrebbe cantato in tournéé addirittura nel campo di concentramento di Auschwizt. Questo ultimo aspetto, per la verità, è un poco ambiguo. Con questo nome tutti intendono comunemente il campo di concentramento. La signora Lia, che in difesa proprio degli ebrei perseguitati aveva opposto un diniego ad un invito di Goebbels, e dunque testimone non sospetta, nega però decisamente di aver mai cantato dentro il campo di concentramento di Auschwitz. Nelle sue numerose tournéè in parecchie città della Germania, in Cecoslovacchia e in Polonia si erà avvicinata – in tournéé dove il suo impresario la portava – al massimo a Katowize, che dista trenta chilometri dal campo di concentramento vero e proprio: se fosse stata lì dentro la lucidissima signora di 90 anni non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad ammetterlo ed a testimoniare ciò che aveva visto. Ma non c’era stata! Quel che è peggio però ed assai più grave, dimostrando la bufala, il dilettantismo e la malafede di altri, è il fatto che in quegli anni, cioè nel 1942-43, il soprano Lia Origoni non lavorava ancora alla Scala di Milano, cosa che avviene solo a partire dal 1946, non prima, come è facile verificare, consultando, ad esempio, la collezione delle locandine della Scala di Milano. Il teatro della Scala di cui si parla nel 1942-43 è un omonimo teatro di varietà che esisteva in Berlino, dove la signora Origoni aveva avuto un contratto nell’autunno-inverno del 1942-43. Non è difficile arguire che si tratta di un marchiano errore del burocrate che scrive "Milano” anziché Berlino, annunciando per il futuro uno spettacolo di cui non è poi certo abbia avuto effettivamente luogo. Messo alle corde da un’intervista di smentita della signora Lia Origoni, apparso sul Corriere della Sera del 5 febbraio, il direttore “scientifico” della Mostra Marcello Pezzetti se ne esce fuori con una “controsmentita” del 1° marzo, dove intanto si dà la zappa sui piedi, ammettendo che l’«inedito» era in realtà apparso dieci anni prima in un libro, la cui “scientificità” è riconosciuta da tutti gli studiosi dell’eccelsa materia. E comunnqe alla mostra non è dato trovare neppure il documento originale e neppure le fotocopie del due pagine di libro, dove ogni modesto cultore di materie storiche può valutare l’inconsistenza probabtoria e documentale del pur autentico (ma non esposto) documento: un pezzetto di carta che non dice nulla che valga di più di quanto la diretta interessata ha personalmente chiarito ed autenticato. Mi sono divertito non poco andando alla mostra, per chiedere di poterlo vedere questo documento “inedito” e di “eccezionale importanza”. La morale della favola è che si voleva incrementare l’industria della colpa e del senso di colpa, coinvolgendo il teatro della Scala di Milano ed i suoi cantanti, rei di niente altro che di... cantare!

2. Lula non vuole. – Era la prima volta che un presidente brasiliano passava dalle parti di Israele. Per chi conosce un poco di diritto internazionale sa che se uno stato esiste vuol che esiste, cioè esiste di fatto. E quindi si hanno le relazioni che si devono avere. Per giunta Israele ha 200 testate atomiche che potrebbero giungere fin nel Brasile. Dunque, un capo di stato deve fare il capo di stato. A casa sua, in privato, fa quello che vuole. E dunque sia pure obtorto collo bisognava passare da Israele. Ma esiste il cerimoniale. E cosa volevano da Lula? Che andasse a deporre una corona sulla tomba di Thédore Herzl, che sarà pure un padre per i sionisti, ma il cui giudizio storico può essere per nulla positivo da parte di chi ha indipendenza di giudizio. E così ha dimostrato di essere il presidente Lula, che non sembra ci voglia stare a ripetere per l’Iran il copione già visto per l’Iraq. Senza guerre – e ne conduce da più di cento anni – Israele proprio non può vivere. Lo sapeva già persino papà Herzl.

Può essere divertente seguire e monitorare i commenti. Intanto diamo la notizia dell’agenzia adncronos:
«Gerusalemme, 15 mar. (Adnkronos) - Il mancato omaggio del presidente braziliano Luiz Inacio Lula da Silva alla tomba di Theodor Herzl nel corso della sua prima visita ufficiale in Israele iniziata ieri e' "un insulto agli israeliani e alle comunita' sioniste di tutto il mondo". E' il commento dell'Agenzia ebraica per bocca di Hagai Merom, citato dal 'Jerusalem Post'. "Mi auguro e credo che il presidente cambiera' idea -aggiunge- non deporre una corona sulla tomba di Herzl e' come rifiutarsi di visitare le tombe di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia o del Mahatma Gandhi in India"»
Per il bene del mondo ci auguriamo che non cambi idea, ma soprattutto interessa poter leggere qualche dichiarazione di Lula come spiegazione del suo gesto, che in ogni caso ha un suo valore, anche se per ragioni diplomatiche decidesse di cambiare idea.

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3. Qualcuno si muove. – Nei grandi media la posizione di tutto l’ebraismo o giudaismo – ma i due termini non sono identici – è in genere tutta schiacciata su Israele ed i sionismo. Se però si va a leggere e studiare un libro come quello di Jacob Rabkin, si apprende che non è esattamente così. Anzi, si viene ad apprendere che il giudaismo rigorosamente inteso sulla base dei testi religiosi ebraici e della sua tradizione è addirittura antitetico al sionismo. La confusione aumenta perché si legge nei grandi media di ebrei “ultraortodossi” che sono poi in realtà “ultranazionalisti” ed hanno le posizioni estreme in una vera e propria campagna di genocidio dei palestinesi. Questa “ortodossia” non ha nulla a che fare con l’«ortodossia» chè è invece descritta nel libro di Rabkin ed è rappresentata da Neturei Karta. Sarebbe interessante, utile e chiarificatore saperne di più, ma questa informazione è inutile ed ingenuo aspettarsela dal grandi media. Resta però un fatto assai pericoloso per l’ebraismo inteso nel suo complesso, cioè includendo le comunità ebraiche che vivono nei diversi paesi, avendone la cittadinanza e godendo in fondo di una situazione di privilegio non concessa ad altri strati di popolazione. Si tratta di una particolare comunità religiosa, non di un “popolo” in senso proprio. Se così fosse sorgerebbero delicati problemi di ordine costituzionale: può vivere un "popolo” all’interno di un altro "popolo”? Non insisto oltre sul tema. Invece la notizia che intendo dare come “curiosa” è significativa è il fatto che qua e là qualcuno dall’interno dell’ebraismo insorge contro Israele e la sua politica. Qualcuno capisce che appoggiare Israele significa assumersi la responsabilità per “Piombo Fuso”, per la “puliza etnica del 1948”, per tutta la politica di insediamento coloniale dell’ebraismo che inizia esattamente dal 1882 e che giunge con una linea costante di sangue fino all’odierno regime di apartheid e di genocidio programmato. La propaganda israeliana può avere successo dove le orecchie hanno interesse a far passare la propaganda, ma dove esiste un minimo di indipendenza di giudizio e non dipendenza materiale, la visione delle cose è ben diversa. La responsabile si chiama comunque Anne Sander e cercheremo di seguirne le vicende, interessanti e istruttive.

4. Una Promenade Ben Gurion a Parigi. – Cosa succederebbe se anziché a Ben Gurion la promenade fosse intitolata ad Adolh Hitler? È questione di punti di vista, ma per chi si informa bene su cosa ha significato la fondazione dello stato di Israele, si impongono determinate riflessioni, valutazioni ed opzioni politiche. È qui difficile non immaginare i soggetti che stanno dietro a questa iniziativa. Difficile non pensare alla potenza di un ben individuabile Lobby e a una lenta e capillare penetrazione di tipo culturale, scientificamente programmata. Qualcosa di simile si vuol fare anche per Roma. Mancano in genere forze che si contrappangono alla Lobby e perciò le cose passano. Quel che è poi è peggio è che a farne le spese sono singoli cittadini che in modo spontaneo, individuale e senza avere alle spalle forze politiche ed appoggi esprime sue libere valutazioni e giudizi. Il cosiddetto “lavaggio del cervello” passa per questi canali.

5. E perchè mai proprio Lula? – Il gioco diplomatico si arricchisce di nuovi dettagli. Il ministro degli esteri Lieberman, uomo che è tutto dire, ha fatto opera di “boicottaggio” – dunque anche lui boicotta? – contro Lula, che non vuole andare a deporre la corona a Herzl, ma impeccabilmente lo staff di Lula obietta che questa performance non era nel programma, era un fuor d’opera, che non è stato chiesto per altre visite di stato, in ultimo quella di Berlusconi. Non si capisce quindi perché proprio a Lula dovesse venire chiesta questa prestazione diplomatica non prevista. Chissà se ne sentiremo delle altre.

domenica, marzo 14, 2010

Freschi di stampa: 36. Piero Buscaroli: «Dalla parte dei vinti. Memorie e verità del mio Novecento». - Siamo tutti figli dei vinti.

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Stesso discorso per i due libri precedenti. La lettura è in corso ed avrei voluto aspettare il termine per parlarne. Ma non è necessario e forse neppure opportuno. Vi è poi anche il rischio che passando troppo tempo non ne parli affatto e subentrino altri interessi ed incombenze. Siamo sempre, come per i due altri libri pur assai diversi, di Salerno e di Mlecin, negli anni del primo dopoguerra, quando matura quello status quo e quella cultura politica che finirà per influenzare tutti noi, nati dopo la disfatta, senza poter ricostruire il vero senso della nostra nascita e non poter avere consapevolezza dei parametri e degli ideologismi che ingabbieranno il nostro sforzo di consapevolezza critica. Ci hanno ingannato in tutti i modi possibili ed ancora oggi i più sono ingannati, ma non lo sanno. Ed a noi che cerchiamo di aprir loro gli occhi ci fanno passare per “matti” e ci mettono alla “gogna”.

Il tema che tratta Buscaroli è lo stesso che ha incominciato a dissodare Giampaolo Pansa, ma – direi – con una differenza importante e sostanziale, senza voler qui parlare male di Pansa, i cui libri ho già letto e vado leggendo. Pansa mi sembra uno scrittore che abbia scoperto un filone di successo, su cui poter scrivere libri, trattando temi nuovi e perciò tali da poter essere venduti. Diverse stanno le cose per Piero Buscaroli che invece ha vissuto e sofferto quegli anni come un protagonista, anzi no, meglio dire come una vittima, sia per le vicende personali che hanno colpito il padre, sia per quella che sarò poi la sua storia come intellettuale fino ai nostri giorni, dove forse appena può permettersi di pubblicare le sue “Memorie”.

Tanti i fatti narrati, o meglio ancora le prospettive con cui noi possiamo leggere e vedere eventi che ci sono stati narrati in altro modo, e che per una sorta di legislazione antirevisionista non possiamo ancora neppure permetterci di interpretare in altro modo, se non vogliamo incorrere in qualche avventura giudiziaria. Accenno soltanto agli eventi di via Rasella, quando ancora non esistevano i “martiri” kamikaze e nessuno aspirava ad un simile ruolo. Il calcolo della prevista e prevedibile rappresaglia, senza nessun utilità politico-strategica, trova nelle pagine di Buscaroli una trattazione che commuove fin nel profondo e lascia l’amaro in bocca. A chi dirlo? È un mondo che ha perso quella “pietas” che era degli antichi e che ci è nota per la frequentazione di quelle pagine dei “classici” sui quali parte di noi si sono formati. La ferocia, l’inganno, la mistificazione è il pane con il quale hanno nutrito per lo meno le genrazioni dal 1950 in poi, che non hanno visto la guerra, ma ne hanno portato tutto il peso dell’eredità. Un Buscaroli, nato nel 1930, pur aver vissuto in anni più tragici e certo non invidiabili, era per lo meno fuori della caverna e poteva vedere ciò che all’aperto succedeva. Ma quelli che sono nati dopo, dal 1950 in poi, si son trovati nella faticosa posizione di chi ha dovuto decifrare il mondo dalle ombre che si agitavano sulle pareti della caverna.

Il libro di Buscaroli è prezioso in quanto salda l’esperienza di una generazione e di quella immediatamente successiva, a venti anni di distanza l’una dall’altra. Un libro su cui riflettere e sul quale torneremo.

Freschi di stampa: 35. Leonid Mlecin: «Perché Stalin creò Israele». – Il vero atto di nascita che la propaganda israeliana nasconde accuratamente.

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Vale qui lo stesso discorso appena fatto per il libro di Erich Salerno e che farò subito dopo per quello di Piero Buscaroli. Si tratta di libri che ho iniziato a leggere e che non ho ancora terminato. Per quello di Mlecin ho da dire che non mi sembra di essere ancora entrato nel vivo. Sono ben a pagina 76, ma l’autore indugia in una parte introduttiva della quale non ho particolare bisogno. Inoltre alcuni suoi incisi mi molestano. Il meglio che possa fare Mlecin, a mio avviso, è di andare in medias res, cioè nell’esposizioni delle carte di archivio che ha avuto il privilegio di poter esaminare fra i primi e trarre così la ragione per farne un libro. Astuzie del mestiere per chi dello scrivere libri fa appunto un mestiere.

In questo post, che non è e non vuole essere una recensione, ritornerò dunque ancora via via che vado avanti nella lettura del libro, possibilmente comparandola con altre fonti di informazione. Qui mi limito ad alcuni osservazioni sulle quali occorre ritornare, per approndirle più che si può. Nella propaganda israeliana volta a ribadire uno strano «diritto ad esistere”, invocato per lo stati di Israele, si fa ricorso a tre o quattro argomenti, di cui una particolare importanza rivestirebbe il “riconoscimento” da parte dell’ONU nel 1948, un riconiscimento che però parrebbe revocato dalle oltre 70 risoluzioni di condanna che da allora hanno interessato Israele, il quale ricambio facendo gli sberleffi, ma in questo modo invalidando una delle maggiori fonti di legittimazione per la sua esistenza, che al momento si basa unicamente sulla mera forza delle armi: un vero ritorno alla barbarie preistorica, che probabilmente aveva una migliore base etica.

In realtà, dietro il nascente ONU, una creatura totalmente dipendente nei primi anni da chi ˇaveva voluta far nascere, per nascondere meglio decisioni di mera politica di potenza, si nascondeva un calcolo politico di Stalin, che in quegli anni pensava di poter giocare sullo scacchiere internazionale una carta in funzione antibritannica. La creazione di Israele da parte di Stalin (lapsus: stavo scrivendo Hitler!) è il vero atto di nascita di Israele. Senza Stalin essa non sarebbe mai stata. Più che un museo all’«Olocausto» in Israele dovrebbero fare un monumento smisurata a Stalin, e lo avrebbero certamente già fatto, se questo non fosse per l’attuale propaganda israeliana un peccato di nascita, che bisogna accuratamente nascondere.

Ma ritorneremo a libro terminato di leggere, e soprattutto se riusciremo a trovare altre fonti da comparare.

Freschi di stampa: 34. Erich Salerno: «Mossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste». – Quando in una paese manca la “sovranità”.

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Il libro di Eric Salerno sta riscuotendo evidentemente un notevole successo. Come me ne accorgo, come posso dirlo? Con le mie osservazioni dirette che sono le seguenti. In ultimo, recentemente, un signore che era presso di me, per farmi un’intervista, pensando di segnalarmi una cosa nuova tira fuori dalla borsa il libro di Salerno chedendomi se ne sapevo qualcosa. Gli ho risposto che già lo avevo comprato e che lo stavo appunto leggendo, ma lentamente come faccio per tanti altri libri. Di rado li divoro tutti di un fiato. Mi piace vederli stagionare e poi magari, come per Rabkin, li rileggo due e tre volte, o per Pappe ne faccio base di ricerche e studi. Per parlare del libro di Salerno, la cui notizia mi giunge da più persone, avrei voluto terminarne la lettura, giunta appena , in questo momento, a pagina 63.

Intuisco che si tratta di una ricostruzione di cose che non sappiamo. Non può non offenderci come l’Italia sia stata, nei secoli (!), e sia ancora oggi, una terra in cui eserciti stranieri e spioni di ogni risma possono tranquillamente scorazzare indisturbati, anzi spesso con il lasciapassare e la complicità di chi dovrebbe vegliare sulla nostra incolumità e sulla nostra dignità e responsabilità storica come “popolo”, se davvero possiamo considerarci tale. Di noi i potenti della terra dispongono come meglio credono. Anzi l’arroganza e l’insulto va ancora oltre: ci rendono responsabili e correi di cose che neppure sappiamo e che sapendoli non avremmo mai voluto e sottoscritto. Qui andrebbe aperta una chiosa sul termine “sapere”. Chi è che in realtà sa per davvero? E sapendo può parlare come «italiano»? Può sapere il povero cristo che ieri come oggi deve penare per combinare il pranzo con la cena? No! Queste persone, a mio avviso, possono essere esentate da responsabilità in quanto non hanno quella necessaria libertà morale per poter pensare politicamente.

Se esiste una forma di rappresentanza, che non è la farsa elettorale, vera e propria associazione a delinquere, che spoglia i popoli non solo degli averi ma di ogni identità e dignità, ognuno di noi è responsabile per il suo vicino nella misura in cui, condividendone condizione sociale e destino, riesce a sapire e capire ciò che l’altro non può sapere né capire. In una famiglia, sul far della sera, in tempi tristi, ogni componente sa che deve chiudere la porta di casa, se la trova aperta ed esposta al rischio di visite non gradite né autorizzate. Ognuno di noi ha un momento nella vita in cui si scopre cittadino e soggetto politico. Molti lo sono solo per un momento, altri lo sono per più tempo, fino a quando possono pensare alla politica come philosophia prima, come inizo di ogni pensare. Qui mi fermo per concludere che ieri come oggi esistono lobbies che ben sanno come le società, parcellizzate e prive di “sovranità”, siano come delle greggi che si possono tranquillamente tosare, sapendo a quali guardiani rivolgersi, quali porte ungere, quali voci mettere a tacere.

È quel che successe negli anni di cui Salerno narra. È vano chiedersi cosa vi sia stato dietro le “stragi” che hanno sollecitato la nostra fantasia per molti anni. Una regola saggia da seguire è quella di attribuire ai governi e ai politici, tutti nessuno escluso, la pratica ordinaria e ricorrente della menzogna. I fondamenti della partecipazione politica devono ricercati non nel voto, che è una truffa ed una beffa al tempo stesso, ma nella sfera della pubblicità e nella concretezza della relazione protezione/obbedienza. Quanto per intenderci: se mi fai mancare il lavoro per vivere decentemente, la sicurezza per potermi muovere nelle strade e stare tranquillo dentro casa, la pace che non mi mette in guerra contro altri popoli che cercano egualmente la pace, se non mi consenti tuttà la libertà di pensiero che mi serve di dirti quel che penso di te, se meriti o non merita la mia fiducia e la mia obbedienza, ma anche libertà di pensiero per smascherare e denunciare le frottole che mi tocca ascoltare su giornali e televisioni, ebbene tu sei privo di legittimitò ed io non tu devo nessuna obbiedienza, o almeno posso cercare di sottrarmi alla tua prepotenza ed al tuo inganno.

Il termine “sovranità” riassume tutte queste cose. Ma in Europa una sovranità non esiste più dal 1945. Da allora il Mossad ha libertà di circolazione nelle nostre città, può violare le nostre case, può uccidere e rapire sul nostro territorio chiunque aggrada farlo. Al mio amico Gianni Alemanno ho mandato a dire, perchè mai anzichè dare uno cittadinanza onoraria ad un certo Shalit, che non ne aveva proprio nessun titolo, non ha pensato di darla a Mordechai Vanunu che proprio a Roma è stato rapito dal Mossad: non sono arrivato alla pagine di Erich Salerno che pensa ne tratteranno. Il suo unico torto era di aver denunciato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana. Chissà perchè dovremmo mai sentirci tranquilli se l’atomica la possiede Israele ed invece dovremmo temere un Iran che l’atomica non ce l’ha! Misteri del Mossad e degli amici del Mossad, che come rivela Erich Salerno in Italia ve ne sono sempre stati.

Ritorneremo sull’argomento a lettura del libro terminata… Giunto alla metà del libro non resisto alla tentazione di saltare al capitolo 18, dove si narra del rapimento in Roma di Mordechai Vanunu, l’israeliano che ha rivelato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana con oltre 200 puntati forse anche sulle nostre teste. Ebbene, mi vergogno di essere italiano e di aver votato per Gianni Alemanno, che ha ben pensato di dare la cittadinanza onoraria romana a chi non ne aveva titolo, negandola a chi lo avrebbe invece ben meritato. Quanche giorno fa mi è capitato perfino di leggere l’articolo di un giornalista che vuole addirittura riportare indietro le lancette e farci credere che ciò rivelò Vanuni sia mera fantasia. E che magari sia stato rapito per essere sottoposto a cura mediche in Israele. È incredibile ma questo di cui parlo è l’Italia nell’anno 2o10.